Mentre Borderlands va alla conquista di Nintendo Switch, grazie al porting gestito da 2K Games, lo scorso anno, precisamente a settembre, Gearbox Software aveva provato a prendersi tutti i riflettori della finestra autunnale del mercato videoludico con il terzo capitolo della propria serie cardine. Il quarto episodio in ordine di uscita (contando anche The Pre-Sequel) ci aveva proiettati direttamente sette anni dopo la sconfitta di Jack il Bello e la distruzione della Hyperion, mettendoci dinanzi a i Figli della Cripta, due gemelli che riescono a riunire tutte le bande di Pandora per poter ritrovare le Cripte della Galassia e impadronirsi dei poteri che ne derivano.

Acclamato dalla critica, soprattutto per il proprio comparto multiplayer, che alla Gamescom 2019 venne anche premiato come il migliore della fiera, Borderlands 3 è stata la summa dell’arte di Gearbox Software, che aveva creato una serie dallo stile inconfondibile e unico. Per poterne parlare meglio e scoprire qualche piccolo segreto, abbiamo avuto l’opportunità di intervistare il team creativo, capitanato da Scott Kester, per sviscerare i segreti dietro l’arte di Borderlands.

 

È impossibile non definire unico lo stile di Borderlands: lo abbiamo notato sempre di più in questi anni. Quindi, cosa si nasconde dietro un mondo pieno di così tanta fantasia? A cosa vi siete ispirati?

Scott Kester (Art Director, Borderlands 3): È una domanda impegnativa. Ci siamo ispirati a moltissimi prodotti degli anni Ottanta, dalla musica ai film, dai libri agli anime, ma anche videogiochi… A moltissimi film di Paul Verhoven, per essere onesti: Starship Troopers, Total Recall, Robocop. Mad Max ovviamente ci è servito moltissimo. Sono cresciuto andando in skateboard, ascoltando musica punk, metal, hip hop: facevo skate tra le scale, le strade, i fossati… Penso di aver sempre visto il mondo da una sorta di “lente da skate”, sposando quella mentalità che ti spinge ad avere una visione completamente diversa, fuori dagli schemi, da un angolo differente. Ognuno nel team ha una prospettiva diversa, interessi diversi e così via. Abbiamo provato a mettere insieme questi aspetti, abbiamo gettato nel mondo tutto ciò che abbiamo saputo raccogliere in giro. Onestamente, stiamo facendo videogiochi ed esperienze che vogliamo vedere e vivere, piuttosto che affidarci a delle checklist da spuntare basandoci su ciò che dovremmo fare. Lo stile artistico proviene dal seguire ciò che riteniamo giusto nel nostro cuore, non quello che pensiamo la gente possa apprezzare o chiedere. Per chiudere, quindi, per me l’ispirazione è sempre legata alla musica, agli anime e allo skate, direi.

Brian Cozzens (Managing Director of Art): L’aspetto più particolare del primo Borderlands è che era stato realizzato per essere un gioco fotorealistico. Avevamo preso moltissima ispirazione dai film di Mad Max. Volevamo avere qualcosa di pesantemente impegnato nel post-apocalittico in termini di design dei personaggi, vestiti, veicoli e così via. Volevamo degli elementi che rievocassero una frontiera sperduta. In ogni caso, siccome il tempo passava durante lo sviluppo, sono usciti sul mercato diversi titoli che erano stati realizzati basandosi sulle stesse ispirazioni che avevamo avuto noi. Il nostro desiderio di essere diversi, di emergere, ci ha spinti verso uno stile molto più stilizzato. Qualcosa che ci aiutasse a dare al progetto una personalità molto più distinta. Quando intendiamo “concept art” o “comic art” ci riferiamo proprio a questo. Ovviamente non è stata una decisione presa in una notte: avevamo bisogno di esplorare il concetto e l’approccio, quindi abbiamo preso ispirazione da diversi titoli, ma anche produzioni multimediali, andando ad affondare le mani in molti altri lavori. Quello che mi ha maggiormente ispirato, però, è stato sicuramente la musica, piuttosto che altre opere visual. Ho trascorso un’intera settimana a stare sveglio fino a tardi per raggiungere una nuova estetica. Ho ascoltato un sacco di musica dei Gorillaz, tutti i loro album a ripetizione, più e più volte. E mentre lavoravo su queste iterazioni, ho notato che arrivava l’ispirazione dall’attitudine delle loro canzoni. Alcuni erano alla moda, altri erano grintosi, tutto era una meravigliosa tavolozza di aspetti diversi e unici. Mi ha aiutato a modellare quei primi passi nella definizione del nostro stile e scoprire qualcosa di nuovo. Ovviamente non sono l’unico ideatore di tutto ciò! Molti, molti altri artisti di talento hanno lavorato, esplorato, contribuito e fatto crescere la nostra estetica nel corso degli anni. Lo stile Borderlands permette agli artisti di testare ed esplorare ancora per molto. Ognuno ha il suo approccio unico: da qui nasce l’ispirazione di ognuno di noi.

 

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Accanto a questo aspetto, c’è da dire che anche le ambientazioni hanno una grande varietà. Potete dirci qual è stato il percorso creativo che vi ha portato a questo risultato?

Scott Kester: L’aspetto che più preferisco di Borderlands 3 è proprio l’ambiente. Il team ha messo tantissimo impegno nel ricreare pianeti unici e delle aree al loro interno, siamo andati molto più avanti in luoghi che non avevamo ancora esplorato nel franchise ed è stato molto divertente (oltre che molto faticoso!). Abbiamo creato dei pianeti con molta più vegetazione come Eden-6, fino a Promethea, che è molto più votata a una metropoli urbana con i suoi grattacieli. Quest’ultima è l’esempio che preferisco fare quando parlo dell’ambiente di Borderlands 3: è stata una sfida enorme riuscire a realizzarla, soprattutto perché abbiamo dovuto calare il titolo in un contesto di una città senza poter fare affidamento a terreno e materiale organico. Per dirla tutta, l’ispirazione arriva al 100% dalla Neo-Tokyo di Akira. Ci siamo appoggiati a dei concetti futuristici e abbiamo modellato il linguaggio degli anni ’20 su come potrebbero essere le città del futuro. Ci siamo assicurati di basarci su quel realismo che però fa naturalmente parte di Borderlands. Le aree e i luoghi devono essere prima riconoscibili, non troppo fantastici.

 

Per Borderlands 3 avete lavorato con l’Unreal Engine 4, che vi ha permesso di approcciare un nuovo motore grafico, con tutte le difficoltà del caso. Questo vi ha spinto a dover cambiare qualcosa nel vostro modo di lavorare? Ci sono degli aspetti che avete dovuto correggere durante la lavorazione?

Jacob Christopher (Lead Content Artist, Borderlands 3): Passare all’Unreal 4 ha portato una grande differenza nella qualità visiva di Borderlands 3. La difficoltà maggiore è stata quella di doversi adattare al PBR (Physically Based Rendering, ndr). Titoli come Borderlands 2 ci chiedevano di avere una limitazione in termini di materiali e illuminazione. Abbiamo quindi potuto sfruttare una soluzione molto più ad ampio raggio, che ci permettesse di avere un’illuminazione molto più gradevole, più diffusa, andando a lavorare sulle scene ombreggiate. Abbiamo avuto la possibilità di fare cose fantastiche, con materiali anche, ma dal momento che non avevamo davvero esperienza sul nuovo tipo di rendering abbiamo dovuto tentare e ci sono stati molti dibattiti su come agire mantenendo il nostro stile artistico. Gli inchiostri, d’altronde, sono fondamentali per noi e per il nostro team: bisognava mantenere lo stesso stile visivo, evolvendo però il processo di rendering, perché è stato difficile da eseguire. Il primo grande cambio è avvenuto sulle texture. Eravamo abituati a usare Photoshop, ma siamo passati a gestire tutto in Substance Painter, così da mantenere la giusta fisica dei materiali. Abbiamo comunque mantenuto dei passaggi finali su Photoshop, ma lo abbiamo usato in quantità ridotta rispetto ai precedenti titoli. In secondo luogo, abbiamo dovuto capire come impacchettare le texture per poter lavorare con il PBR mantenendo intatta la memoria delle texture. Alla fine abbiamo deciso di dividere le informazioni sulle texture in diverse mappe piuttosto che inserire tutto in un unico contenitore. L’ultimo ostacolo era rendere coerenti le letture dei materiali, i valori delle texture e gli elementi stilistici, come gli inchiostri. Le basi per questo sono state poste con la collaborazione di artisti dell’ambiente senior e artisti della tecnologia, ma è stato uno sforzo continuo per l’intera durata dello sviluppo. Una volta spiegati i principi fondamentali e stabilite alcune linee guida, si trattava di far fare pratica agli artisti. Alcuni artisti hanno sperimentato lo stile, altri hanno avuto esperienza con PBR. La sfida era farli parlare tra di loro e imparare gli uni dagli altri. Il passaggio a Unreal 4 e PBR è stato difficile. Borderlands parla di stile, creatività e attitudine e incoraggia gli artisti a spingersi oltre i confini e il loro stile. Affidarsi a nuove tecnologie che incoraggiano l’uniformità e gli standard è stato difficile, ma quella stessa creatività che ha creato i giochi precedenti ci ha aiutato a crescere in questo nuovo mondo.

 

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Uno degli aspetti più affascinanti di Borderlands è il vasto arsenale che abbiamo a disposizione, non solo dal punto di vista del gameplay, ma anche nel modo di approcciare il design. 

Jimmy Barnett (Lead Weapon Artist, Borderlands 3): Le armi in Borderlands 3 rappresentano la sfida più interessante. La varietà la fa da padrona e bisogna creare l’illusione di un infinito numero di loot, pur avendo a che fare con dei limiti imposti dal motore di gioco. È qui che abbiamo dovuto affrontare alcuni problemi creativi: i precedenti Borderlands ci davano un grande punto di partenza, ma è stato necessario muoverci in una direzione abbastanza diversa per arrivare a creare l’arsenale che avevamo in Borderlands 3. Il design visivo è stato uno degli strumenti che abbiamo usato per dare una nuova idea al sistema di loot che i nostri fan già amavano dai precedenti capitoli. Non solo abbiamo cercato di trovare dei modi per aggiornare ed evolvere ciò che già esisteva, ma abbiamo anche introdotto degli elementi che non avevamo mai provato prima. Portare Atlas nel pieno di un design estremamente sperimentale, come anche il gameplay dimostra. I launcher montati sulle braccia, le Tracking Darts, la possibilità di switchare da una modalità all’altra e anche i vari proiettili sono solo un esempio di come abbiamo reso speciale l’universo di Borderlands. Anche il passaggio all’Unreal Engine 4 è stato qualcosa che ha avuto un grande impatto sul nostro stile artistico e sul risultato finale che abbiamo avuto. Durante l’esplorazione di quel mondo nuovo che è il PBR, che ci spingeva a guardare il tutto come se fosse vero, ci siamo accorti di quanto il compito fosse difficile. Abbiamo comunque raggiunto un livello di fedeltà che prima non ritenevamo possibile. Dall’ideazione al 3D, dall’animazione al suono, fino alla tecnologia, ogni dipartimento ha fatto di tutto per rendere le armi di Borderlands 3 qualcosa di speciale e qualcosa di cui possiamo essere tutti orgogliosi.

 

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Confesso che tra i personaggi che più ho amato di Borderlands c’è Claptrap. Vorrei saperne di più e chiederti cosa vi ha portato a costruire un personaggio così.

Brian Cozzens: Uno dei nostri concept artist aveva creato questo schizzo di un robot a una ruota come uno scherzo e per divertimento mentre lavorava su un altro progetto. Ci siamo innamorati all’istante del design! Ci siamo ritrovati a fare dei riff aggiuntivi su di lui, immaginando che sarebbe stato perfetto per Borderlands! Sebbene il progetto iniziale fosse un po’ più “fantascientifico”, assomiglia principalmente a quell’idea originale. Un altro fatto interessante: il suo nome originale era Zippy! Claptrap in realtà è stato sviluppato un po’ più tardi nel ciclo di sviluppo (non è stato comodissimo), il che non lo ha reso particolarmente amato dai nostri produttori! L’abbiamo davvero inserito vicino alla scadenza proponendolo come Claptrap, il che ha spinto il produttore a fare del proprio meglio per UCCIDERE CLAPTRAP. Fortunatamente, non ci è riuscito.

 

So che – correggetemi se sbaglio – nei precedenti Borderlands il lavoro sui personaggi era assegnato esclusivamente a Scott Kester. Invece adesso, per il terzo capitolo, hai dovuto mettere insieme il design di tanti altri artisti. È un aspetto particolare, che mi rimanda un po’ agli anni Novanta, quando Disney mise 12 artisti a creare il personaggio di Hercules. Come cambia il lavoro di un designer in questi casi?

Scott Kester: Non ho concepito tutti quei personaggi, ma ho fatto molto! Era un momento diverso, il dipartimento dei concept era molto piccolo per il contenuto che stavamo buttando fuori. Alcuni personaggi sono stati effettivamente creati in finestre molto strette, Brick è stato fatto in un paio di giorni, TK Baha forse in 30 minunti… Ho trascorso una notte di disegno su Moxxi, senza direzione o richieste specifiche, ho pensato che questo personaggio dovesse esistere, dopo un paio di disegni ha iniziato a farsi modellare ed è stata gettata nell’universo di Borderlands. Abbiamo fatto quello che potevamo fare con il tempo che avevamo. Le squadre erano più piccole, così come il tempo e il budget. Detto questo, abbiamo davvero cercato di mantenere quella sensazione di “pancia”, anche se tutti i dipartimenti sono aumentati nel corso degli anni. Ci vogliono ancora un sacco di persone per realizzare un personaggio, tutti insieme dall’alto verso il basso: concept, modellazione, rigging, animazione, scrittura, VO/suono, è un folle concerto di talenti e organizzazione per mettere tutto insieme nel modo giusto. Mi sento fortunato ad aver contribuito a creare quella che spero sia una collezione di personaggi, personalità e look di successo che non vedo molto nei videogiochi. Abbiamo provato un approccio più collaborativo ai personaggi principali in Borderlands 3, con a volte fino a 4-5 persone che lavorano su diversi aspetti di un personaggio. Alla fine un artista lo ha messo insieme e ha finito il personaggio prima di trasferirlo alla modellazione. Ho contribuito, ma è stato davvero il team a fare il lavoro principale, ho solo cercato di aiutare a guidare il percorso e mantenerli sulla giusta strada. È stato un esercizio fantastico, penso che abbia creato il nostro set di personaggi più cool di sempre, ma ciò non sarebbe stato possibile senza il nostro concept team! I personaggi sono la mia passione principale e cerco sempre di sfidarci a far avanzare i personaggi migliori e più cool!

 

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Ci sono dei giochi sui quali avresti voluto collaborare? Prova a viaggiare indietro nel tempo, se vuoi.

Scott Kester: Maddai… non farmi iniziare, ti prego! Tempest, Panzer Dragoon, Jet Set Radio, Resident Evil, Zelda, Star Fox, Metroid, Street Fighter, No More Heroes, F-Zero, Brutal Legend, Metal Gear, Devil May Cry… Mi fermo. Detto questo, avrei incasinato quei giochi, quindi non fatemeli toccare! Alla fine, mi sforzo principalmente di fare cose nuove, e preferirei comunque fare qualcosa di nuovo piuttosto che lavorare su qualcosa che già, in qualche modo, ha dettato legge.

 

 

Ringraziamo Scott Kester, Brian Cozzens, Jimmy Barnett e Jacob Christopher per la meravigliosa disponibilità e per l’assoluta simpatia nel raccontarci contenuti a volte anche molto tecnici con grande entusiasmo e passione.