La fretta. Un’impulsiva ed incontrollabile fretta di entrare nel vivo, innescare il primo colpo di scena, stravolgere lo stato dei fatti. Se proprio avessimo dovuto scommettere, avremmo puntato senza indugio su questo cavallo nella partita che avrebbe tentato di indovinare quale sarebbe stato il difetto che avrebbe maggiormente penalizzato l’attesissima produzione di Square Enix, figlia di una passione, divenuta in certi casi ossessione, che ha incentivato il publisher nipponico a prendersi tutta la calma del mondo, in attesa del momento migliore per chiudere un cerchio aperto nel lontanissimo 2002, anno dell’esordio della saga su PlayStation 2.

Tutto il contrario, invece. L’unica colpa imputabile a Kingdom Hearts III è di non saper dosare con maestria il ritmo della narrazione, di regolare malamente la comparsa e scomparsa di volti già noti, di scandire con scarsa precisione l’avvicendarsi degli eventi che conducono, una volta per tutte (?) alla (momentanea) conclusione della saga.