Quando nell’ottobre del 1999 anche in Italia iniziò a dilagare la Pokémon-mania, mi sentii un bambino sfortunato. Molto sfortunato. Non era davvero così, ovviamente, anche all’epoca ne ero consapevole, ma forse per la prima volta nella mia vita mi resi conto di desiderare ardentemente qualcosa che non potevo avere, che tutti i miei amici erano in preda ad un autentico delirio di massa a cui io ero escluso a priori.

All’epoca, complice anche l’età anagrafica, le informazioni sul mondo videoludico erano confuse, parziali, relativamente incomprensibili. La prima volta che lessi di questi strani mostriciattoli giapponesi e delle relative avventure su Game Boy rimasi confuso e dubbioso.

Animaletti dalle forme bizzarre che vanno catturati, allenati e utilizzati per combattere contro altri fanatici di medaglie da collezionare? Sembrava tutto surreale e soprattutto difficile da proporre sul minuscolo schermo del Game Boy, console che tra l’altro non avevo la fortuna di possedere, ma che conosc...