“It's all part of the plan”

Il Joker, da Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan

Cominciare un articolo su The Avengers con una citazione tratta direttamente dal Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan può apparire un affronto, una provocazione se non addirittura una bestemmia per i fan più intransigenti della Casa delle Idee e dei film tratti dal suo sterminato pantheon, così come per quelli della trilogia nolaniana.

Eppure, guardando in maniera retrospettiva e prevedendo il futuro delle storie che potranno scaturire come diretta emanazione del kolossal scritto e diretto da Joss Whedon, la frase pronunciata dalla temibile nemesi di Batman calza a pennello come un costoso vestito su misura fatto in sartoria. Provate a immaginare se a dire quelle parole fosse stato Kevin Feige: “Fa tutto parte del piano”.

Avreste l'ardire di sostenere che non ci sia una precisa visione d'insieme in quel viaggio che ha portato i supereroi della Marvel sul grande schermo?

Non vogliamo certo asserire che quella dei cinecomic di Iron Man e compagnia sia una storia fatta solo di happy ending in cui ogni pellicola arrivata nei cinema di tutto il mondo è valida, ben fatta. Se pensiamo a opere come I Fantastici 4 e relativo seguito, e a Daredevil, la spinta emotiva primaria non è certo quella di distribuire dei sentiti high five a Tim Story e Mark Steven Johnson.

Eppure, la strada che ci ha condotto a questo cinecomic corale, formata da quelle pellicole prodotte direttamente dai Marvel Studios – in ordine cronologico d'uscita Iron Man, L'Incredibile Hulk, Iron Man 2, Thor, Captain America: Il Primo Vendicatore – e da una serie di corti di raccordo, è la manifestazione contingente di una delle operazioni cinematografiche meglio orchestrate di sempre, condotte con la perizia e la precisione di una campagna militare. E paragonare l'operato di chi deve gestire la colossale macchina produttiva hollywoodiana alla ratio di uno stratega marziale è tutto tranne che fuori luogo, come ci ha confermato anche il veterano degli US Navy Greg Gadson, che abbiamo intervistato in merito alla sua partecipazione in Battleship.

E' cosa nota che gli adattamenti che la divisione cinematografica della Marvel ha tratto da alcune delle sue più celebri proprietà intellettuali finiranno per scontentare sempre e comunque qualcuno. Con i film tratti da fumetti finiamo per addentrarci in un territorio analogo a quello delle partite della nazionale di calcio in cui tutti si sentono allenatori legittimati a dire cosa avrebbero o non avrebbero fatto al posto del Mister di turno. Con storie che proseguono da decenni grazie a reinterpretazioni dei vari disegnatori e sceneggiatori in forza alla casa editrice, storyline differenti o parallele, personaggi che sono morti, risorti e poi morti nuovamente, si leverà sempre una voce appartenente a un tizio con addosso una t-shirt con la scritta “Worst. Comic Movie. Ever” pronta a far notare che “questo non è Captain America”, “Il mantello di Thor è più lungo”, “Tony Stark ha avuto problemi con l'alcool, perché non ne parlate nei film?”.

Ma i cinecomic Marvel vanno presi per quello che sono. Una rifondazione cinematografica dell'universo che tutti noi amiamo a diverso titolo e grado che prende le mosse da più interpretazioni e universi narrativi; entità non direttamente, o necessariamente, collegate all'epopea X o alle opere dell'autore Y.

Proprio per questo, nonostante il coinvolgimento di registi di prim'ordine per la realizzazione di questi blockbuster, abbiamo assistito a un generale depotenziamento dello stile del filmmaker via via coinvolto. Jon Favreau (Iron Man 1&2) è un ottimo mestierante capace di essere incisivo sia come attore comico che come regista di commedie, il suo Elf è diventato un instant classic del cinema natalizio. Joe Johnston (Captain America) è un vecchio marpione con una sterminata conoscenza dei tempi e dei meccanismi del grande cinema d'avventura hollywoodiano (anche se con un curriculum da regista meno entusiasmante), Kenneth Branagh (Thor) è decisamente esperto quando si tratta di drammi dinastici in stile Shakespeareano. Eppure quando si va a toccare dei mostri sacri come i personaggi Marvel, lo stile personale, la cosiddetta “autorialità” deve quasi del tutto essere messa da parte in virtù del “piano” di cui sopra.

Non è un caso se anche un attore come Mickey Rourke nel momento in cui ha commentato a latere il suo coinvolgimento nei panni di villain in Iron Man 2 si è trovato a dire:

Cerco di trovare il modo di costruire dei villain che non siano stereotipati, cerco i momenti in cui il villain non è un cattivone e c'è un grosso combattimento. Ce l'avevo fatta in Iron Man, ma hanno vinto loro. Dovevo lavorare per la Marvel, ma loro hanno rotto le scatole a Jon Favreau perché volevano un villain monodimensionale. Alla fine la performance che avevo cercato di costruire, e tutto quello su cui avevo lavorato, sono andate a farsi benedire, hanno tagliato tutto. Tutto questo può far perdere l'interesse in un attore. Alla fine non ti interessa più impegnarti a fare un villain intelligente, o per lo meno giustificabile, che si comporta secondo delle motivazioni.

Dover mettere da parte il proprio ego per un artista è un rospo difficile da ingoiare.

Ma lavorare a una produzione dei Marvel Studios significa dover sottostare a una gerarchia di squadra dove se c'è il volere di un singolo che conta, è quello di Kevin Feige. Poi dopo – fattore testimoniato dai contratti blindati e vincolanti per gli eventuali sequel – abbiamo gli interpreti dei vari supereroi che risultano nettamente più importanti di chi ha il compito di dirigerli sul grande schermo.

Quando ti trovi a dar vita a delle vere e proprie icone che da decenni e decenni contano schiere sterminate di fan e seguaci, ti ritrovi investito di una responsabilità non da poco. Ora, non per citare necessariamente Spider-Man, ma da grandi poteri… terminate voi la frase, tutti in coro.

Cosa accade però quando un essere umano si ritrova a dover dirigere tutti i suddetti all'interno di un unico film? Come si può assemblare un cast di “primedonne” alle prese con personaggi leggendari?

La scelta di far ricadere l'incarico su Joss Whedon poteva lasciare legittimamente perplessi. Whedon occupava già una posizione assolutamente di primo piano sulla scala di valori del “Nerd&Geek” cinema/tv. Se in voi alberga un piccolo Sheldon Cooper sapete già perché. Per tutti gli altri citiamo roba come Buffy, Firefly, Toy Story, Serenity, Dr. Horrible's Sing Along Blog. L'esperienza in materia di direzione di blockbuster corali da oltre 200 milioni di dollari di budget non rientrava però nel novero del suo curriculum. Come ha giustamente fatto notare The Playlist nella sua analisi del film, il percorso di Whedon può essere accostato in un certo qual modo a quello di un altro ex enfant prodige dello showbusiness, J.J. Abrams. Entrambi sono passati da una pellicola d'esordio dal sapore fortemente televisivo, non come messinscena, ma come emanazione, a blockbuster basati su proprietà intellettuali dalla temperatura altissima.

A conti fatti, nonostante tutte le problematiche intrinseche di un'operazione come The Avengers, Whedon è riuscito a dare forma a un tentpole da due ore e un quarto di durata che passano via fagocitate dagli occhi, e dai cuori, degli spettatori con la stessa rapidità con cui si beve una bevanda fresca in una calda giornata d'estate. Alla difficoltà di dover in un qualche modo reintrodurre personaggi già noti al grande pubblico grazie alle altre pellicole calandoli in un contesto di “relazione conflittuale” con altri supereroi, Whedon risponde con un'ottima conoscenza dei tempi cinematografici e della sceneggiatura. Cadere nel tranello del dare più spazio a un eroe piuttosto che a un altro era più facile che abboccare a un inganno del truffaldino Loki. The Avengers è, paradossalmente, il film più personale fra tutti i Marvel movie arrivati nelle sale finora. Tutte le ossessioni di Whedon, il citazionismo pop spinto che regala momenti di assoluta ilarità, i ritmi comici, la mania di dover sempre e comunque far fuori qualcuno, vengono miscelati a un meccanismo cinematografico d'impatto che non mostra incertezze neanche quando si tratta di dover gestire passaggi in cui il budget del film si palesa con prepotenza davanti ai nostri occhi. Eye candy direbbero gli americani.

Senza ripetere concetti già espressi in fase di recensione, giudicare il cast potrebbe condurci in un territorio fatto di preferenze personali, piuttosto che di rigore critico – e comunque vincono Tom Hiddleston e Mark Ruffalo.

The Avengers è, al momento, la stella più splendente della costellazione del “piano” di Kevin Feige e dei “suoi” Marvel Studios. Un eccellente punto di arrivo narrativo, raggiunto dopo una strada in cui la vettura è stata guidata con uno stile non privo di sbandate anche pericolose (qualcuno ha detto Iron Man 2?), ma anche, anzi sopratutto, un punto di svolta che porta inevitabilmente a domandarci: cosa accadrà adesso?
Anche perché se non vi state ponendo un quesito del genere, se non vi siete esaltati come dei forsennati quando Captain America ha consigliato a Hulk di “spaccare”, se non vedete l'ora di consumare il Blu-Ray del film seduti sul divano di casa vostra con addosso le mani verdi dell'alter ego di Bruce Banner o tenendo in mano il Mjolnir di Thor probabilmente non siete nemmeno arrivati alla fine di quest'articolo…