Se esistesse la figura del cineasta-ingegnere sarebbe perfetta per lui: Paolo Mitton, regista che ha esordito a Torino con il suo primo lungometraggio: The Repairman, di gran lunga e con un’abbondante dose di certezza, l’esordio italiano dell’anno.

Una commedia di provincia, il genere più abusato dal nostro cinema (specie dalle commedie) girata e raccontata con un stile peculiare, più britannico che italiano e non a caso. L’ingegner Mitton ha lavorato agli effetti speciali di film come Charlie e la fabbrica di cioccolato o Alien vs. Predator per anni, dopodichè ha fatto il montatore e poi è riuscito a trovare i fondi e gli attori per un film.

Ci sono diversi segreti in The repairman (chi l’ha montato, come ha potuto farlo venendo da un altro paese, come è stato girato) che sono emersi quando abbiamo potuto incontrare Mitton. Non ha un modo di fare cui siamo abituati e questo inevitabilmente ha portato ad un film più intelligente, divertente e originale della media.

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Come nasce l’idea?

Il film ho iniziato a scriverlo con Francesco Scarrone quando io abitavo già a Londra come ora e lui in provincia di Cuneo. La storia nasce da un’autoosservazione di entrambi su come ci vedeva il mondo esterno, cioè come vedeva due chiusi in casa a scrivere tutto il giorno, che è l’atteggiamento degli amici nei confronti di Scanio e delle sue riparazioni.

Si sente che non è un film partorito in Italia

Mia moglie fa la comica in un duo inglese [è anche l’attrice protagonista del film ndr] e la comicità inglese con quel modo di fare ha influenzato molto l’umorismo di questo film. Io passo le estati al festival della comicità di Edimburgo e mi fa impazzire questo modo di recitare serio e asciugato anche quando dicono le cose che fanno ridere e sta allo spettatore capire quando una cosa è comica o no.

Inoltre non c’è l’intenzione di mostrare nessuno dei personaggi come un modello, mi piacciono i film in cui c’è da imparare da tutti, non volevo un film generazionale in cui il protagonista sembra un incompreso della società e diventa un eroe. Mi piace l’idea che pensarsi incompresi non porti necessariamente ad una redenzione.

Perchè un titolo inglese?

Perchè siamo usciti primi in Inghilterra e ci sembrava funzionasse bene per il titolo un bel sostantivo inglese, perchè è una professione che non esiste ma invece la parola c’è.

Hai fatto il montatore per molto tempo, ma poi il film come mai non l’hai montato tu?

Beh (ride) diciamo che sono io il montatore. Ho usato con un pseudonimo, l’ho fatto perchè non mi piaceva che risultasse scritto, diretto, montato…. sempre dalla stessa persona. Così al primo film è un po’ arrogante. Ad ogni modo mi ha aiuto Enrico Giovannone.

Quindi il film l’hai partorito già con quest’idea particolare di montaggio in testa?

Si, avevo già in mente delle idee che volevo applicare. Ci sono momenti molto veloci e altri molto lenti.

Ma più che avere un’idea prima ho girato solo quello che sapevo mi sarebbe servito al montaggio e questo avendo un budget molto basso mi ha aiutato. Mi alzavo al mattino e pensavo al montaggio e giravo quel che mi sarebbe servito. I cambi di ritmo sono dovuti all’intenzione e alle esigenze della giornata, quante inquadrature riuscivo a portare a casa.

Alla fine abbiamo adeguato il resto della storia a delle variazioni di ritmo in modo da non farle sembrare forzate.

Quanto è costato?

Dieci volte meno di quel che si possa immaginare, siamo sotto i 500.000 e sopra i 250.000 euro.

La crew da dove viene? Perchè non venendo tu dal giro italiano anche le professionalità non sono le solite…

Il direttore della fotografia è inglese e non avendo un giro in Italia mi sono basato su Fabio Marchisio (che nel film fa Gianni) che viene dalla scuola attori del teatro stabile e tramite lui ho conosciuto alcuni attori e maestranze, presi tra i loro compagni e conoscenze, tutto senza casting director quindi. E sono bravissimi ed è incredibile aver trovato persone così brave solo tra le amicizie.

Tu sei ingegnere in teoria, come sei arrivato al cinema?

Io nasco ingegnere poi quando ero in Francia ho cominciato a frequentare i cinema e le retrospettive perchè non conoscevo nessuno e ho capito che volevo fare questo. Poi mi sono documentato da me su articoli, sulla critica anche con Il dizionario Mereghetti proprio, ho fatto un paio di corsi con maestri molto bravi in Spagna, roba di pochi mesi, utile a capire proprio le basi e i fondamentali, ma per il resto non è che servano le scuole per imparare il mestiere, quelle servono per farti delle conoscenze.