L’intera cinematografia di Tim Burton, più ancora che attorno all’estetica dark e ai freak, ruota attorno a un grande tema: quello della fuga dalle realtà piccole, dalla provincia, intesa sia come luogo fisico, ovvero la California degli anni ‘60, sia come luogo dell’anima, l’eterno vuoto che insegue tutti i ragazzi di paese che, per un motivo o per l’altro sono “scappati di casa” per inseguire una vocazione artistica, umana o professionale. Il regista di Burbank ci ha già mostrato di conoscere benissimo la grazia o il tedio a morte di vivere in provincia in Edward Mani di Forbice e Big Fish, tuttavia, dopo le deviazioni di Alice e Dark Shadow, con Frankenweenie (presentato al London Film Festival e uscito in questi giorni nelle sale di mezzo mondo) ha deciso di tornare alla sua vena estetica originaria recuperando il suo primo cortometraggio e costruendoci attorno una nuova narrazione che, fra autoanalisi e citazion...
Ecco la nostra seconda recensione di Frankenweenie, il film in stop-motion bianco e nero 3D di Tim Burton in arrivo a gennaio in Italia...
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