“So che parlo troppo, sarà dura per te trascrivere tutto quello che ho detto…” Parla con tono gentile e rassicurante Kamel El Basha, pacato anche quando tocca argomenti drammatici che farebbero tremare la voce a chiunque. Non è difficile ravvisare parte di quella stessa sensibilità anche nel suo Yasser Salameh, tormentato protagonista di L’Insulto del libanese Ziad Doueiri, grazie a cui Basha ha vinto la Coppa Volpi per la Miglior Interpretazione Maschile all’ultimo Festival di Venezia, primo attore arabo a conquistare l’ambito premio.

Palestinese di Gerusalemme, classe 1962, Basha ha alle spalle una solida carriera teatrale e un percorso di vita fatto di attivismo politico in difesa della sua terra; un motivo in più per dolersi, recentemente, del boicottaggio di L’Insulto da parte di alcune organizzazioni palestinesi che tacciano Doueiri di “normalizzazione” dei rapporti con lo stato d’Israele. Ma Basha è, innanzitutto, un interprete a tutto tondo, com’è emerso dal dialogo che abbiamo avuto modo di intavolare con lui, da cui è emerso il ritratto di un uomo e di un artista attento alla sofferenza nella sua accezione più universale.

L’Insulto è stato uno dei film più interessanti dell’ultimo Festival di Venezia. In parecchi ipotizzavano una sua vittoria del Leone d’Oro, e adesso – oltre a essere campione d’incassi in patria – è il candidato libanese nella corsa agli Oscar.

Mi aspettavo questo successo in Libano, come credo che avrà successo in tutti i paesi arabi e, spero, nel resto del mondo. Sapevo che si trattava di un film controverso che avrebbe sollevato molte domande e che avrebbe aperto un dibattito sulla guerra civile libanese, sulla nostra vita di oggi, sul pluralismo e sulla libertà di parola, sul diritto che ciascun individuo ha di parlare del proprio dolore.

Per te, questa è un po’ una consacrazione a livello cinematografico.

Sì, anche se prima di L’Insulto avevo preso parte a svariati film in Palestina. Ho recitato in un film, nel 2002, sull’invasione di Ramallah da parte delle forze israeliane; ho lavorato in tre film con Muayad Alayan [Lesh Sabreen?, Amore, Furti e Altri Guai, The Reports on Sarah and Saleem, ndr] e poi The Solomon’s Stone con Ramzi Maqdisi. Ho anche lavorato in televisione. Credo che i registi palestinesi non mi abbiano notato come attore, fino a poco tempo fa, quando ho iniziato a collaborare con Muayad e Ramzi, che fanno parte della nuova generazione di cineasti del mio paese e stanno provando a investire in interpreti palestinesi.

Kamel El Basha Insulto

The Solomon’s Stone

È stata una tua decisione quella di focalizzarti sulla carriera teatrale piuttosto che su quella cinematografica?

Mi sono concentrato sul teatro perché è lì che ho iniziato a recitare. Non so se sia stata una decisione specifica; non pensavo neppure al cinema, per la verità, perché per me era come se non fosse il mio campo. In un certo senso, non c’è una vera e propria industria cinematografica in Palestina, dove io vivo. Mentre ero completamente assorbito dal lavoro a teatro, il cinema era più che altro qualcosa di cui sentivo parlare, in cui non ero molto coinvolto. Non so quindi se sia stata una mia scelta, o semplicemente una conseguenza del mio essere così focalizzato sul teatro da non avere il tempo di pensare al cinema: stavo scrivendo, dirigendo, recitando… per la maggior parte del tempo, stavo anche insegnando… quindi, è semplicemente andata così.

Come sei approdato alla recitazione?

Come tutti recitavo a scuola. Il mio sogno, da bambino, era diventare ingegnere aeronautico. Poi, in tv, notai questo attore siriano piuttosto famoso, chiamato Ghawar Al-Toushi. Ero solito imitarlo di fronte alla mia famiglia, e da lì ho iniziato ad amare questo mondo e questa professione; stare su un palco, di fronte alla gente, ricevere commenti incoraggianti dalle persone intorno a me. Quindi, quando sono arrivato al liceo, presi la decisione di studiare seriamente recitazione… Anzi, no: la mia intenzione, all’epoca, era di studiare cinema. Me lo sono ricordato adesso, che strano. Tentai l’ammissione in alcune scuole di cinema, e fui ammesso all’Accademia d’Arte presso l’università di Baghdad. Durante il primo anno di corso, era previsto che gli allievi studiassero un po’ di tutto: televisione, cinema e teatro. In quell’anno, decisi di lasciar stare il cinema e di concentrarmi sul teatro, in modo particolare sulla recitazione.

Come sei entrato in contatto con Ziad Doueiri e con il suo progetto?

Nel modo più tradizionale: Ziad stava cercando un attore per il ruolo di Yasser Salameh, e voleva che fosse un palestinese di Gerusalemme, che parlasse fluentemente con quell’accento. Ha iniziato a contattare persone, ed è arrivato a me. Dopo un colloquio e un’audizione su Skype, mi ha spedito la sceneggiatura, che ho letto e apprezzato; abbiamo quindi deciso di lavorare insieme.

Kamel El Basha Insulto

Foto di Rudy Bouchebel

Al ritorno da Venezia, Doueiri è stato arrestato a causa del suo precedente filmThe Attack, girato in Israele. La politica del Libano, in materia cinematografica, sembra essere piuttosto restrittiva; com’è la situazione in Palestina? È difficile essere un attore (e, nel tuo caso, un attore che lavora all’estero) nel tuo paese?

Credo che fare l’attore sia difficile ovunque. Non solo in Libano, e non solo in Palestina. Essere un artista, in generale, non è per niente facile. Alcuni ci riescono, altri no. Nel mio caso, ciò che rende la cosa ancora più difficile è la situazione politica del mio paese. Diciamo che non c’è alcuna limitazione in termini di creatività, ma la situazione socio-economica è davvero dura. Non c’è un’effettiva industria cinematografica, nè un’industria teatrale. Non c’è sostegno da parte del governo, né istituzioni private che supportino la nostra indipendenza. A tutto questo, bisogna aggiungere il modo in cui molte persone si rapportano tuttora all’arte, in generale, e al teatro e al cinema nello specifico. L’importanza di queste branche culturali è molto sottovalutata. In questo senso, è più difficile e più impegnativo. È anche più pericoloso, per così dire.

Sei il primo attore arabo ad aver vinto la Coppa Volpi al Festival di Venezia. Pensi che ci sia, in generale, una giusto riconoscimento del cinema o del teatro mediorientale da parte dell’Occidente?

Per quanto riguarda il teatro, facciamo tournée in tutta Europa, in America, in Giappone, e da quello che sento i film palestinesi, libanesi, siriani, algerini sono distribuiti in tutto il mondo, partecipano ai festival e vincono premi. Questo è un mercato, una competizione tra tutti coloro che lavorano nell’industria cinematografica, e chiunque può arrivare in qualunque luogo ormai in un modo o nell’altro. È difficile per tutti e, certamente, è un po’ più semplice per le compagnie mediorientali già affermate. Forse nei paesi arabi è più arduo, perché il governo stenta a capire l’importanza delle arti in generale e del cinema nello specifico, ma è difficile anche per altre realtà in Europa. Ho conosciuto molte persone che stanno provando a fare cinema, ma non è semplice ottenere finanziamenti o arrivare ai festival. Credo, comunque, che gareggiamo con le stesse possibilità degli altri nel mercato.

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