Il coinvolgimento del pubblico deve iniziare sin dal primo fotogramma

È questa una delle frasi più celebri di Saul Bass, grande titolista e graphic designer, che ha il pregio di racchiudere in poche parole lo spirito di una sconfinata produzione e di un genio che ha cambiato per sempre l’arte applicata al cinema. Ad oggi pochi oserebbero definire Saul Bass come un genio del marketing, senza provare per lo meno un po’ di imbarazzo. Eppure il suo retaggio corre su due binari: il primo è quello puramente artistico, che ha generato una quantità incalcolabile di epigoni, il secondo è strettamente correlato con la “vendita” del prodotto cinematografico. Bass fu il primo a dimostrare che convincere il pubblico a vedere un film e potenziarne il valore artistico non dovevano essere per forza due discipline separate.

L’8 maggio 2020 si sono festeggiati i 100 anni dalla sua nascita, avvenuta nel 1920 nel Bronx di New York. Una zona in particolare fermento che in quegli anni stava vivendo un aumento esponenziale della popolazione, con conseguenti tensioni sociali. Bass si fa da solo: ottiene una borsa di studio per studiare arte a Manhattan e, verso l’inizio degli anni ’40, lavora come disegnatore pubblicitario. Sono suoi i celebri loghi di aziende come AT&T e Kleenex. L’esperienza nel mondo delle vendite influenza il suo stile quasi quanto le correnti artistiche del costruttivismo e della scuola Bauhaus. Andare dritti al punto. Con efficacia ed efficienza. Tradotto: le sue opere rimangono impresse anche al fruitore casuale che passeggia vicino alla sala cinematografica, grazie ad uno stile minimale, giocato sui contrasti di forme e di colore, impossibile da ignorare, ma veloce da capire. La sua carriera cambiò quando un celebre regista ebreo, emigrato a Hollywood per sfuggire, nel ’35, a un clima europeo non proprio favorevole, lo notò. Si trattava di Otto Preminger, cineasta versatile capace di spaziare dal colossal epico al noir di denuncia sociale. Tra i due scattò un’intesa immediata quando Bass dipinse il poster del film Carmen Jones.

Fu una rivoluzione. Prima di allora i poster dei film avevano un’impostazione molto classica, con i volti degli attori in primo piano, e la scena più iconica del film disegnata in bella vista. Per Carmen Jones fu diverso.

carmen jones saul bass

Un’immagine in bianco e nero (forse sottile riferimento al cast del film, composto esclusivamente da attori afro-americani che aveva incontrato le resistenze di Hollywood) con un rosso acceso ad attirare l’attenzione, in contrasto con il resto della composizione. L’uso del colore dominante sarà una delle cifre stilistiche a lui più accreditate. In particolare Saul Bass era affezionato al colore rosso, come si vede nei manifesti di Spartacus, Vertigo – La donna che visse due volte o Il fattore umano. Una tonalità forte, funzionale a catturare l’occhio del passante con uno shock visivo dall’alto fattore comunicativo.

Quella di Saul Bass era un’arte distillata, tendente al minimalismo, ma mai schiava dei vincoli. Le sue opere avevano la capacità di riassumere in sé temi, atmosfere e selling point del film. Fu il primo a capire che una forma geometrica poteva raccontare un genere cinematografico. Ecco quindi che la commedia di Billy Wilder Uno, due, tre! è rappresentata quasi esclusivamente attraverso forme tondeggianti. In altri manifesti il ritmo spezzato dell’immagine, con intrecci di linee, comunica le complessità della mente dei personaggi nei thriller psicologici (come Psycho o La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock); le forme spigolose e appuntite, come nel caso dell’Uomo dal braccio d’oro, uno dei suoi lavori grafici più potenti, venivano usate per indicare scelte difficili e il rischio.

carmen-jones-saul-bassIl sodalizio con Preminger portò Bass a superare il solo manifesto cinematografico e a compiere una seconda rivoluzione: quella dei titoli di testa. Il regista fu così affascinato dal risultato di Carmen Jones che gli chiese di animare anche i primi minuti del film. Ma fu con l’Uomo con il braccio d’oro che tutto cambiò. I titoli di testa erano solitamente usati per indicare i nomi degli attori, dare informazioni legali sul film (il copyright spesso posto sotto il logo) e soprattutto per dare il tempo al pubblico di sistemarsi in sala e prender bevande e snack. Su indicazione di Preminger, Bass fece in modo che il film iniziasse, anche per gli spettatori, con il primo fotogramma. La partitura di Elmer Bernstein accompagna le immagini con una simbiosi perfetta. “L’intento di questa apertura era quello di creare un tono libero, scarno, con un’intensità crescente per trasmettere la distorsione e il frastuono, la disconnessione e l’irregolarità della vita del tossicodipendente protagonista del film” ha dichiarato l’artista.

Preminger lottò molto per la sua libertà creativa contro le convenzioni della Hollywood di fine anni ’50. Impossibile non citare, nel suo corpus di opere, anche la potente ideazione grafica di Anatomia di un omicidio, in cui forme geometriche accostate assumono la forma di un corpo a terra. Anatomia, pezzo per pezzo, di un cadavere, come accadrà sul grande schermo durante il celebre dramma legale. Furono molti, da qui in poi, i registi con cui collaborò: dai già citati Alfred Hitchcock e Billy Wilder fino a Stanley Kubrick. Bass non era amato solo per la sua arte, ma per la sua grande comprensione del cinema e dei meccanismi della comunicazione visiva. La sua rivoluzione era gradualmente accolta dall’industria e i registi erano disposti a concedergli sempre più spazio.

La scena di apertura di Grand Prix, film del 1966 diretto da John Frankenheimer, ideata e montata da Saul Bass, funge da vero e proprio prologo. Senza parole, ma solo attraverso immagini e suoni, vengono delineati temi, oggetti, atmosfere della pellicola. Il montaggio è modernissimo. Grana della pellicola a parte, sembrerebbe una clip promozionale contemporanea, un trailer, per quanto sa riassumere e sommare velocemente gli elementi chiave del racconto.

A 100 anni dalla nascita di Saul Bass la sua eredità è incalcolabile. Il suo stile è stato ripreso più volte, per citare solo due: i titoli di testa di Prova a prendermi o della serie Feud: Bette and Joan sono chiaramente figli della sua visione. Stiamo vivendo un periodo di rinascita dell’arte dei titoli. Il boom della serialità televisiva ha costretto i creativi a trovare soluzioni sempre più memorabili per raccontare intere stagioni in pochi secondi di sigla.

E mentre il cinema ha gradualmente perso i titoli di testa (con qualche dovuta eccezione come i film di 007) ecco che il blockbuster moderno ha ritrovato la passione per i titoli di coda, spesso anticipazione di una scena post credit. Ma resta la sensazione che, a fronte delle infinite possibilità offerte dalla computer grafica e alla conseguente realizzazione di immagini sempre più spettacolari, si sia persa la vera essenza di Saul Bass. Ovvero quella di racchiudere in un simbolo la potenza creativa delle idee, di realizzare l’immagine più semplice possibile, nel modo più creativo possibile.

 

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