In America, in vista dell’uscita della Trilogia di Ritorno al Futuro in 4k, cominciano ad apparire online delle interviste a Bob gale, il co-creatore del franchise insieme a Robert Zemeckis.

Parlando con CB.com, il produttore e sceneggiatore ha spiegato che, ancora oggi, c’è una scena del suo cult che proprio non riesce a digerire per via dell’esecuzione gioco forza un po’ frettolosa: quella in cui la mano di Marty McFly comincia a scomparire nella scena in cui sta suonando “Johnny B. Goode”.

Ti dirò, la cosa che continua a irritarmi ogni volta che la rivedo e che, sottolineo, è venuta così perché non avevamo il tempo necessario per perfezionare gli effetti speciali è nel segmento Johnny B. Goode, quando Marty comincia a venir cancellato dall’esistenza e c’è l’inquadratura in cui lui guarda la sua mano che scomparse con un cerchio. Non doveva realmente venir fuori così. Tutti stanno cominciando a scomparire e lui si ritrova con questo buco nella mano. Ma dovevamo fare i conti di una scadenza. Non avevamo la possibilità di chiedere alla ILM di ripensare quel passaggio ed elaborare una maniera migliore per visualizzare il tutto. Ecco, questa scena occupa la prima posizione delle cose che m’infastidiscono.

 

Ritorno al futuro

 

Gale è tornato anche a toccare la questione sequel e spin-off. Come noto, la saga di Ritorno al Futuro, non è mai proseguita dopo il terzo capitolo e addirittura esiste una clausola che vieta alla Universal di produrre seguiti et similia mentre i creatori del franchise sono in vita:

Quello che la gente spesso non afferra di Ritorno al Futuro, quello che lo fa funzionare davvero non è tanto la questione dei viaggi nel tempo. I film funzionano perché raccontano la storia di questa famiglia e i viaggi nel tempo sono solo un elemento del tutto che viene vissuto grazie al legame coi personaggi. È la drammatizzazione spettacolare di un momento che qualsiasi essere umano vive nel corso della propria esistenza, quello in cui da ragazzini si realizza che “Oh mio Dio, anche i miei genitori sono stati dei ragazzi!”. Quando hai ancora cinque, sei anni osservi i tuoi genitori e li percepisci come delle figure quasi divine che ti sembrano non invecchiare mai. Devono sempre essere stati così, poi, d’un tratto, arrivi ai sette, otto o nove anni e cominci a mettere insieme i pezzi. Realizzi che anche loro sono stati piccoli. Ed è questo il più grande pregio di Ritorno al Futuro. È l’elemento umano. Non è la logistica dei viaggi nel tempo che, se ci mettiamo a osservare le varie produzioni mediali che sono sate fatte fra cinema, TV e fumetti, è una trappola impiegata come meccanismo narrativo.

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