Ha un look diverso dal consueto Jude Law quando fa il proprio ingresso per l’incontro con la stampa italiana relativo all’uscita di Rise of the Guardians (Le 5 Leggende), che martedì verrà presentato in anteprima mondiale internazionale (il film ha vinto già un premio al Mill Valley Film Festival) al Festival del Cinema di Roma.

Sono lontani i tempi di Alfie, in cui il bellissimo attore inglese, tacito erede di Michael Caine, faceva girare la testa a Susan Sarandon, Marisa Tomei e Sienna Miller (con cui ha avuto, in seguito, una lunga e burrascosa relazione sentimentale fuori dal set). Law sfoggia una barba dal taglio decisamente vintage, essendo attualmente impegnato nelle riprese londinesi della black comedy Dom Hemingway di Richard Shepard, in cui interpreterà uno scassinatore. Certo, benché coperto dai basettoni e visibilmente stempiato, mister Law non perde un colpo in fatto di fascino. E, giunto alle soglie dei quarant’anni, si concede una serie di ruoli da villain, tra cui anche quello (in veste di doppiatore) di Pitch, alias l’Uomo Nero, oscuro antagonista dei protagonisti del cartoon DreamWorks Animation. Dal rapido e intenso botta e risposta con i giornalisti è uscito decisamente a testa alta, dimostrando una notevole capacità oratoria. Nonché un accento posh encomiabile.

Che tipo di esperienza è stata, per te, interpretare vocalmente il perfido Pitch?
Come tutti, anche io sono cresciuto guardando i film d’animazione, in particolare quelli della tradizione disneyana. Ed ho continuato anche ora da adulto, prima ancora di avere bambini. L’animazione ha una serie di grandi vantaggi, si possono fare cose impossibili da creare in live action. Interpretare il cattivo è una grande responsabilità, i villain spesso hanno lasciato un’impronta indelebile su generazioni di bambini; in questo senso, è stata una sfida importante. Benché mi fosse chiaro il processo lavorativo, è stato ugualmente un compito molto vasto da affrontare. Il mio coinvolgimento è durato vari anni, a volte intervallato da parentesi piuttosto lunghe durante le quali gli sceneggiatori sviluppavano i personaggi. Rendere vocalmente la partecipazione fisica è impegnativo: se non puoi usare il corpo, hai solo la voce a disposizione per dare una caratterizzazione al personaggio, che verrà arricchito di magia visiva dagli animatori. È stato divertente fare un personaggio che incarna il male puro, soprattutto se deve scontrarsi con cinque personaggi totalmente buoni.

Nel film interpreti un personaggio che vive della paura dei bambini. Qual è il tuo rapporto con la paura?
Io creo, col mio lavoro, mondi immaginari; è fondamentale usare la fantasia e spingere i bambini a utilizzarla come mezzo per crescere come adulti sani. Per me, la paura è da sempre un'ottima motivazione nel lavoro, e oggi mi avventuro a prendere delle parti che mi spaventano, perché le trovo più stimolanti. Mi spingono ad assumermi dei rischi, delle responsabilità, mi piace l'idea di dover fronteggiare delle continue sfide.

Nei film d’animazione, prima si recita e poi si anima. Quanto hai potuto intervenire sulla sceneggiatura in fase di registrazione?
È difficile capire, durante la registrazione, quanto di ciò che registri sarà presente nel final cut; nel caso di Le 5 Leggende, c’è dietro un processo collaborativo durato quasi due anni. La collaborazione c'è lì, in quel momento, ma nulla garantisce che le tue modifiche o le tue aggiunte torneranno nel film. Registri da solo, le battute hanno molte versioni diverse, la medesima frase viene ripetuta con intonazioni differenti. È difficile per me capire quanto di quella frase arriverà nel film.

Hai mai provato un senso di competitività verso qualcuno, come nel film accade a Pitch e Jack Frost? Tra i giovani attori inglesi chi ti piace particolarmente?
Ho imparato presto che se ti fermi a pensare alla competizione con qualcuno, inevitabilmente finisci per perdere. Quando avevo diciotto, diciannove anni, convivevo con Johnny Lee Miller ed Ewan McGregor, capitava che fossimo in corsa per la stessa parte, ma i casting sono molto specifici e spesso cercano un tipo particolare. Se non vieni scelto non è perché non sei bravo, è magari perché vogliono un altro tipo, e questo ti aiuta a crescere come attore. Essere in continua competizione credo che che sia un danno innanzitutto verso se stessi. Quando invecchi, poi, invecchiano anche i personaggi che reciti, e quindi ovviamente non posso competere con un ventenne. Riguardo i giovani talenti, in Anna Karenina ho lavorato con Aaron Johnson e mi piace moltissimo, anche come persona. Un altro attore che stimo particolarmente è Tom Hiddleston.

Anticipazioni su Dom Hemingway, il personaggio del film a cui stai attualmente lavorando?
Dom è un furfantello con aspirazioni da criminale, ma ha passato dodici anni in prigione come capro espiatorio, sconta la pena per conto di altri; quando esce, sembra che il mondo sia cambiato. I soldi promessi non arrivano, e lui si rende conto che l’unica cosa da fare è riprendere i contatti con sua figlia, che però non ha tempo per lui.

Le 5 Leggende è un film insolito nel panorama dell’animazione contemporanea, che tende sempre di più ad attirare un pubblico non esclusivamente infantile. Che appeal pensi che potrà avere sugli adulti?
Credo che piacerà agli adulti, perché i personaggi di cui si parla fanno parte della nostra cultura, ci siamo tutti cresciuti insieme, li abbiamo incontrati tutti da bambini e quindi c'è un riferimento all’infanzia di tutti noi. Inoltre penso che il cinema spesso si rivolga al maggior numero di persone possibile, senza categorie; certo, quando si scrive un libro si ha almeno una vaga idea del destinatario, e lo stesso vale anche per i film, ma posso dire che da genitore, quando porto i miei figli al cinema, sono contento di vederli contenti e non mi lamento se la pellicola non è specificatamente rivolta a me.

Puoi parlarci di Anna Karenina (film di Joe Wright in uscita nel 2013, ndr)? Lì interpreti un cattivo molto diverso…
Trovo interessante paragonare Pitch e Karenin. In Le 5 Leggende, il cattivo è manicheo, bianco e nero, la storia che gli è stata creata attorno parte da un background legato ad un'epoca in cui le persone avevano paura del buio. La sua cattiveria è la paura dello sconosciuto, dell'ignoto, quello che i bambini temono e che devono affrontare. In Anna Karenina il mio ruolo è quello del marito della protagonista, Karenin, una persona emotivamente molto introversa, quasi inespressiva. Sin dall'inizio ero determinato, in linea con lo sceneggiatore Tom Stoppard, a rendere Karenin non solo come “il cattivo”, ma come un uomo che vive un matrimonio fallimentare. È sfaccettato, dal mio punto di vista il suo problema è che non riesce a vedere cosa c'à di sbagliato, non capisce come comportarsi, è un personaggio straordinariamente complesso. Penso che questa versione di Karenin, rispetto ai precedenti adattamenti, sia più fedele al libro, che a sua volta è fedele alla vita: la miglior letteratura è quella dove ogni singolo personaggio racchiude in sé i fallimenti e i trionfi di ognuno di noi. Il mio Karenin ha momenti alti e bassi, perché ho cercato di renderlo specchio della condizione umana, che è costellata di alti e bassi.