Arnold Schwarzenegger è una leggenda di Hollywood, è un imprenditore, è un ex politico americano (è stato il 38° Governatore dello Stato della California) ed è stato un campione di body building.

Ma, prima di tutto questo o quantomeno delle prime tre cose citate, Arnold Schwarzenegger è stato un immigrato austriaco arrivato negli Stati Uniti nel settembre del 1968, all’età di 21 anni.

In queste giornate in cui l’opinione pubblica statunitense (e non solo quella) è scossa per la, purtroppo, ben nota morte dell’afroamericano George Floyd avvenuta lo scorso 25 maggio a Minneapolis dopo un arresto avvenuto con delle modalità che definire discutibili sarebbe riduttivo e le successive proteste che stanno attraversando la nazione, Arnold Schwarzenegger ha scritto una sorta di “lettera aperta” all’America pubblicata sulle pagine di The Atlantic.

Ecco alcune riflessioni fatte da Arnold Schwarzenegger sull’attuale situazione di quello che, dalla fine degli anni ’60, è il suo paese:

Sono emigrato negli Stati Uniti nel 1968. Sognavo di venire qua dal momento in cui, alle scuole elementari, vidi le prime immagini dell’America. Le foto e i film con quegli svettanti grattacieli, ponti giganteschi, strade larghissime e Hollywood, rappresentavano per me una terra fatta di infinite opportunità. Decisi che era quello il posto a cui appartenevo.

L’America era nel bel mezzo della gara per toccare il suolo lunare e, alla fine del 1968, osservammo i coraggiosi astronauti lanciati in cielo nel primo volo dell’Apollo con equipaggio umano. La loro missione sembrava davvero attestare che non esistevano limiti per questa nazione. Ma nel 1968, da nuovo immigrato, rimasi letteralmente scioccato nel verificare come la nazione sulla quale fantasticavo dalla più tenera infanzia era tutt’altro che perfetta. Non era minimamente vicino all’esserla.

[…]

I giorni appena trascorsi ci hanno ricordato in maniera brutale che l’America non è perfetta. Credo ancora che sia la nazione più grande del mondo, ma possiamo dire di esserlo davvero solo nel momento in cui ci mettiamo davanti a uno specchio per guardare in faccia i nostri demoni, per scacciarli e cercare di migliorare giorno dopo giorno.

Le persone che stanno protestando nelle strade non odiano l’America. Ci stanno chiedendo un’America migliore. E ce lo stanno chiedendo per conto dei nostri americani che non hanno più una voce: Ahmaud Arbery, Breonna Taylor, George Floyd e molti altri.

Quando ho visto l’orribile video della morte di George Floyd, la prima cosa che mi è tornata alla mente è stato quello dell’analoga morte di Eric Garner, colpevole di aver venduto sigarette senza licenza.

Tutto questo deve finire. Ed è necessaria una presa di posizione da parte di tutti noi. C’è bisogno di un miglior training per gli agenti di polizia. Un cambiamento che deve essere chiesto, in primis, dalla maggioranza delle forze dell’ordine, composta da brave persone. Ma deve finire.

Con questo non voglio attaccare le forze dell’ordine. È una critica verso un sistema che non funziona. Mio padre era un poliziotto. Ho sempre tifato per gli agenti di polizia. Ma puoi essere fan di qualcosa e, allo stesso tempo, constatare che c’è qualcosa di sbagliato al suo interno. Ed è palese che c’è qualcosa che non va.

Il mio amico Erroll Southers, che ha speso la sua intera vita nelle forze dell’ordine e ha lavorato, nella mia amministrazione, per il dipartimento di homeland security, ha scritto oggi: “Mi capita ancora di agitarmi quando ricevo una telefonata inaspettata a un orario insolito perché spero che mio figlio, mio fratello o un parente non sia diventato il nuovo hashtag”.

Pensateci un attimo. Erroll Southers è un professore della USC, un ex agente dell’FBI, un uomo eccezionale in ogni sfumatura del termine che, “a causa” del colore della sua pelle, quando sente squillare il telefono di notte pensa, in maniera automatica, che suo figlio o suo fratello potrebbero essere la motivazione dietro la prossima marcia.

Non riesco neanche a immaginare cosa possa significare […]

È sbagliato, è ingiusto ed è per questo che le persone stanno manifestando oggi.

È curioso notare come Arnold Schwarzenegger, che è stato Governatore eletto fra le fila dei repubblicani, abbia scelto proprio The Atlantic come destinazione della sua lettera aperta. Qualche giorno fa l’autorevole sito è stato dileggiato da Donald Trump con un tweet in cui esprimeva gioia per il licenziamento del 20% dello staff della testata, da sempre molto critica verso la sua amministrazione. Un tweet che ha avuto il paradossale effetto di aiutare The Atlantic ad aumentare il numero di sottoscrittori per i suoi contenuti a pagamento.

Cosa ne pensate della lettera aperta di Arnold Schwarzenegger scritta dopo la morte di George Floyd? Ditecelo nei commenti!

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