Secondo Christopher Lee il cinema non è altro che “magia fatta con i mezzi della tecnica” ma, come tutte le magie richiede allo spettatore qualcosa di inafferrabile e indefinibile, un salto di fede. Il grande cinema narrativo, per funzionare, ha bisogno che noi (il pubblico) accettiamo per una, due, tre o più ore di essere qualcun’altro, di saper volare, di combattere armati con lame luminose, di studiare in una scuola di magia, o di accompagnare strane creature dai piedi pelosi in un viaggio verso l’ignoto. Più ancora dei libri o dei videogame, il cinema ha un disperato bisogno di credulità, quando le luci si spengono quello che si viene a creare è un rapporto strano, in cui lo spettatore rinuncia a una parte di sé in cambio di una visione, di un ricordo, di un sogno ad occhi aperti, mentre fuori dalla sala cinematografica il mondo, con tutte le sue miserie, va avanti.
 
 
Martin Scorsese nel trasporre il ...