La recensione di In the Fire, al cinema dal 14 settembre

C’è seriamente da mettersi le mani nei capelli da quanto sia scritto, montato e diretto male In the Fire di Conor Allyn. Ambientato in una hacienda cilena di fine Ottocento, In the Fire si colloca tra il dramma borghese e l’ambizione western, presentando come protagonista una giovane psicologa newyorkese (interpretata da Amber Heard) che viene chiamata a curare un bambino, Martin, figlio di un ricco proprietario terriero.

Fin qui niente di strano, se non fosse che dall’incipit del film non si capisca chi e perché abbia chiamato la dottoressa visto che il padre, Don Marquez, subito si rivela ostile alla “nuova scienza”e il bambino lo vuole curare perché è convinto sia il male e non vuole in alcun modo una donna a curarlo. Questo nodo è logicamente irrisolvibile a fa crollare tutto, e la singhiozzante narrazione del film si dispiega come un mero susseguirsi di scene sterotipiche, sentite e piene di pathos fino al comico involontar...