Padri e Figlie, la recensione

Padri e Figlie di Gabriele Muccino è il quarto film Usa del regista. Lo scrittore Russell Crowe cresce da solo una figlia che diventerà Amanda Seyfried

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Lasciando la Danza, Tulipani Amari, Padri e Figlie.

La Ricerca della Felicità, Sette Anime, Quello che so sull'Amore, Padri e Figlie.

Scusate l'inizio un po' pazzo ma ci tenevamo a elencare PRIMA i tre libri finti scritti dal romanziere inventato Jack Davis (un altro scrittore creato di sana pianta per il grande schermo dopo il Tomas Eldan di James Franco per il Wenders, in sala, di Ritorno alla Vita) e DOPO i quattro film realmente realizzati da Gabriele Muccino per quella che possiamo definire la sua parte hollywoodiana di filmografia.

Come vedete l'ultimo titolo è coincidente. Ebbene sì, perché il libro che Jack Davis (Russell Crowe) scriverà dentro il film di Muccino diventerà anche il titolo dell'ultima uscita americana del regista romano de L'Ultimo Bacio (2001). Di costa stiamo parlando? Padri e Figlie è un dramma familiare ambientato in due spazi temporali e con due protagonisti: da una parte Jack, scrittore vedovo afflitto da forti attacchi epilettici post traumatici, impegnato a crescere da solo sua figlia Katie tra diffidenze parentali e grossi problemi economici (come il Will Smith de La Ricerca della Felicità); dall'altra proprio Katie, interpretata da Amanda Seyfried con un flash forward di 27 anni rispetto alla parte con Crowe protagonista, impegnata a cercare di fare bene il suo lavoro di assistente sociale (il caso di cui si deve occupare è rappresentato da una taciturna Quvenzhané Wallis) e magari provare anche ad innamorarsi visto che passa di letto in letto peggio della Amy di Un Disastro di Ragazza di Apatow senza riuscire mai ad andare oltre il sesso occasionale.

Parte di Crowe: lui che combatte per scrivere (sfornerà due romanzi nel mentre) e poter avere affidata la piccola Katie mentre la perfida cognata Diane Kruger prova a portargliela via (se la rappresenti in modo così fiabesco... poi è difficile difendersi dalle accuse di misoginia).

Parte di Seyfried: lei che combatte per superare le chiusure della bambina affidatole e provare ad innamorarsi del dolce Cameron (Aaron Paul).

Muccino cerca il melodrammone popcorn di larghissimo consumo

Com'è il film? Meglio dell'ultimo Muccino hollywoodiano (Quello che So sull'Amore) ma peggio dei primi due ovvero l'eccellente La Ricerca della Felicità (2006) e l'inquietante, e troppo sottovalutato, Sette Anime (quando Will Smith era il mentore e la star del nostro Gabriele). Crowe a volte è eccellente (quando viene scosso dagli attacchi epilettici è come assistere al Gladiatore di Scott che se la prende con se stesso; fa veramente paura e serve benissimo a giustificare una scena decisiva vista la potenza muscolare coinvolta negli attacchi) mentre la Seyfried continua a non convincerci come attrice drammatica (il suo viso da Goldie Hawn più fumettistica è perfetto per la commedia pazza come ha capito benissimo Seth MacFarlane).

Muccino cerca il melodrammone popcorn di larghissimo consumo (e non ci sarebbe niente di male visto che lo fa dai tempi de L'Ultimo Bacio) ma forse, tecnicamente, la struttura a montaggio alternato di piani temporali diversi non lo aiuta.

Ci spieghiamo meglio: questo bravo regista pop funziona quando può lavorare in crescendo e quando può esasperare il potenziale emotivo di una scena, o addirittura di tutto un film (vedi l'iperbolica chiusa di Sette Anime), con l'enfasi della musica e con il dinamismo della recitazione di pancia che tanto ama (corrono i suoi personaggi anche in questo film? Yes!). Abbiamo avuto la sensazione che la "rottura" del flusso emotivo cui è costretto dai diversi piani temporali (un po' stiamo con Jack e un po' stiamo con Katie adulta 27 anni dopo) giochi a sfavore della sua abilità di regista in crescendo.

Il cast è solido ma molto al servizio della produzione più che fresco e dotato di vita autonoma. Il migliore è Crowe, il quale sappiamo fin dai tempi di Insider (1999) di Mann e A Beautiful Mind (2001) di Howard essere in grado anche di interpretare l'intellettuale problematico e mentalmente instabile.

Muccino deve continuare a correre in Usa. Prima o poi potrebbe ritrovarsi tra le mani una star meno bollita e un copione più vibrante adatto alle sue corde melodrammatiche. Da quelle parti il gioco è più pesante (ma anche mille volte più interessante rispetto all'Italia) e se Muccino riesce a raggiungere i dieci titoli in filmografia... potrebbe tornare ad avere attorno a sé il consenso di quando sbarcò oltreoceano trentottenne portato in palma di mano dalla coppia Will Smith & Jada Pinkett-Smith. Avevano visto insieme L'Ultimo Bacio e volevano lavorare con quel bravo regista pop italiano. La resistenza fisica, mentale e artistica a Hollywood è tutto. Auguriamo a Muccino di continuare a combattere. Non gli auguriamo certo di tornare qui.

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