The Velvet Underground, la recensione | Cannes 74

Di tutto The Velvet Underground la parte che pare eccitare e coinvolgere di più Todd Haynes è quella del fermento, quella fase in cui a New York la sottocultura gay era fusa con altri movimenti ai margini della società, trattati come criminali, derisi in televisione, per creare avanguardia. Quando il documentario racconta quella fase (dopo una rapida corsa sui primi anni di vita di John Cale e Lou Reed) sembra davvero capace di leggere la storia invece che raccontarla e basta.
Prima ancora della factory di Andy Warhol, prima che il gruppo abbia il suo nome definitivo, quel fermento e quell’energia alimentata da una marginalità quasi amata (come esce dalle poesie dell’epoca di Lou Reed), sono la benzina che carica The Velvet Underground e materia originale.

Purtroppo invece più il documentario avanza più è convenzionale. Parlatissimo, pieno di interviste giuste, lunghe e appassionate, preciso con i dettagli e minuzioso nel ricostruire tu...