Mettete subito via i forconi: il titolo del pezzo non vuole essere una critica a La spina del diavolo o insinuare che sia invecchiato – anzi. Uscito nel 2001, esattamente il 20 aprile almeno nei cinema spagnoli, il terzo film di Guillermo del Toro è stato un precursore, un anticipatore, un ispiratore di certe tendenze horror che negli anni successivi avrebbero abbandonato i confini del cinema indipendente messicano per arrivare anche a Hollywood; ed è anche un manifesto della poetica del suo autore tanto quanto lo è il ben più famoso film successivo, Il labirinto del fauno, la metà più spettacolare e visivamente indimenticabile della duologia sulla Guerra civile spagnola. Dalla sua La spina del diavolo non ha creature con gli occhi sulle mani o direttamente senza occhi, “solo” un fantasma, ma quello che gli manca in potenza iconografica istantanea lo recupera in atmosfera e profondità narrativa.