Profondo rosso è su Star di Disney+

L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code, Quattro mosche di velluto grigio da una parte. Suspiria, Inferno, Tenebre dall’altra. E in mezzo, fiero di non appartenere del tutto a nessuna delle due categorie, sta il perfetto film di transizione, un’opera definita anche da quello che non è (non più pienamente un giallo, non ancora del tutto un horror) e che proprio per questo è forse la migliore del ricchissimo curriculum del suo autore. Parliamo ovviamente di Profondo rosso, o La tigre dai denti a sciabola come avrebbe dovuto intitolarsi nelle iniziali intenzioni di Dario Argento (fonte principale di informazioni per questo pezzo, grazie alla sua autobiografia Paura), il film di passaggio da una fase all’altra della sua carriera, l’ultimo dei thriller e il primo degli horror, antenato degli slasher, erede di una tradizione creata dal suo stesso autore, uno dei film preferiti di Quentin Tarantino, che è appena arrivato su Star di Disney+, insieme al resto della filmografia del regista, nell’unica versione possibile, quella originale italiana da due ore.

Parlare di Profondo rosso significa spalancare le porte su un abisso infinito di aneddoti e racconti dal set, ma anche di considerazioni critiche e riflessioni sulla modernità del film e sulla sua influenza su tutto il cinema post-1975. È un’opera che genera domande su domande, per esempio:

 

Terore

 

Profondo rosso è un giallo o un horror?”. La risposta è “sì”. Viene concepito addirittura durante la lavorazione di Quattro mosche; o meglio, Dario Argento si fa venire l’idea di una medium che percepisce i pensieri di un assassino, poi non sa che farsene e la ripone nei cassetti della memoria. La ritira fuori quando, dopo il flop di Le cinque giornate, decide di tornare alla forma per rimettersi in pista: lavora a una sceneggiatura, si fa aiutare da Bernardino Zapponi (che aveva già scritto per Fellini, Risi e Sordi tra gli altri) a completarla, e le differenti sensibilità dei due danno vita a un film dal doppio volto. Da un lato c’è l’aspetto più concreto, realistico e anche quotidiano tipico del thriller; dall’altro, per volontà di Argento, nel film filtrano anche elementi di fantastico e soprannaturale che finiranno per collocare Profondo rosso esattamente a metà strada tra quanto venuto prima e quanto accaduto dopo nella carriera dell’autore.

Proprio questa ambiguità del film, questo continuo saltare da momenti quotidiani a inserti inquietanti e quasi psichedelici per poi tornare bruscamente con i piedi per terra, è uno dei motivi per cui la risposta alla domanda “Ma Profondo rosso fa davvero paura?” è “sì”. A fronte di una messa in scena sempre elegante e ricercata, Argento lavora principalmente sulla confusione generata da tutto il resto. Il film dovrebbe svolgersi a Roma, ma è stato girato a Torino, il che trasforma le location in una collezione di non-luoghi, tra cui spicca la fontana di piazza CNL a Torino sulla quale si affaccia il Blue Bar, un locale che non esiste e il cui aspetto è chiaramente ispirato a Nighthawks di Edward Hopper.

 

Bambola

 

Confusione è anche buttare in pasto al pubblico una miriade di elementi apparentemente fondamentali ma che si rivelano poi delle false piste. I costanti riferimenti al mondo della parapsicologia, della telepatia e persino della capacità di controllare la gente con il pensiero, per esempio, sono suggestioni che non trovano mai davvero sfogo nello sviluppo narrativo del film (con l’eccezione della succitata idea della sensitiva che percepisce i pensieri di un killer); ma che costringono chi guarda a prendere in considerazione anche le ipotesi più fantasiose sull’identità dell’assassino e suoi metodi e motivazioni. Il caso più clamoroso di dettaglio inserito per sviare l’attenzione è Nicoletta Elmi, la piccola Olga dai capelli rossi, che entra in scena nel momento di massimo disorientamento (del protagonista Mark e anche di noi che guardiamo) e lo fa con il piglio di quella a cui si potrebbe dedicare un film horror a parte; è possibile che questa adorabile creatura che infilza le lucertole c’entri qualcosa con gli omicidi?

Profondo rosso è uscito quasi mezzo secolo fa per cui lo consideriamo ormai immune dagli spoiler, e quindi: no, ovviamente Olga non c’entra nulla, se non collateralmente; eppure è anche decisiva alla risoluzione del caso. Profondo rosso è il genere di giallo che resiste a ogni tentativo di essere risolto prima del tempo: c’è un momento nel secondo atto nel quale l’unica cosa chiara è che il colpevole potrebbe essere letteralmente chiunque, Mark compreso. La scelta di girare ogni scena di omicidio in soggettiva, con un bel primo piano delle mani di Dario Argento inguantate di nero, contribuisce all’effetto, oltre ad aumentare l’immersione in un modo sgradevole e urticante, che costringe chi guarda a immedesimarsi con un(’?)omicida senza volto.

 

Graffito

 

Sono stati scritti libri interi anche sulla colonna sonora di Profondo rosso: Argento voleva i Pink Floyd o i Deep Purple, e invece finì con in mano il demo di uno sconosciuto gruppo romano, i Goblin, che detonarono all’istante grazie all’intuizione (suggerita dallo stesso Argento) di riprendere l’idea di Tubular Bells di Mike Oldfield, usata con successo in L’esorcista, e re-interpretarla di fatto in chiave prog rock – e quindi anche più fisica, concreta e pulsante, piena di bassi e distorsioni ma sempre ripetitiva e ipnotica. Il risultato è diventato talmente (questa volta si può usare questa parola senza problemi) iconico che è stato ripreso e re-re-interpretato in decine di horror successivi: ne segnaliamo in particolare uno, Halloween di John Carpenter, che a Profondo rosso deve moltissimo a partire proprio dalla colonna sonora.

Tutto quello che abbiamo scritto fino ad adesso, che rappresenta un’infinitesima frazione di tutto quello che si potrebbe dire di Profondo rosso (i suoi legami con Hitchcock e Psyco in particolare, il modo in cui tratta la malattia mentale e la questione di genere, l’uso della violenza); e non abbiamo speso neanche due parole su quello di cui il film parla, tra l’altro. Speriamo comunque che sia sufficiente a farvi venire la curiosità, e a rispondere alla domanda: “Ma quindi devo vederlo?”.

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