L’ultima notte di Amore di Andrea Di Stefano, al cinema dal 9 di marzo, riporta in auge Milano come città violenta, crocevia di gangster internazionali e metropoli letale sia per criminali che per poliziotti.

In occasione dell’uscita del film abbiamo cercato di ricordare altri esempi cinematografici in cui il capoluogo lombardo è stato ritratto come luogo della Mala. Dagli anni ’70 a oggi, dal cinema in sala a Netflix.

milano calibro 9

Milano Calibro 9

Ovviamente non si può che cominciare da Milano Calibro 9 (1972) di Fernando Di Leo che disegna una città dura ma anche dannatamente romantica dove il codice d’onore è imprescindibile per i suoi delinquenti. Nei primi minuti già viaggiamo da Parco Sempione all’imprescindibile Piazza del Duomo, compresa metropolitana con fermata a Porta Venezia. E’ una Milano dove gangster movie e noir si incontrano, le femme fatale si esibiscono nei locali notturni e i poliziotti trattano i criminali con un certo stile. Ci si odia, ci si frega l’un l’altro e ci si massacra fisicamente, come fanno Mario Adorf e Gastone Moschin dall’inizio alla fine del film, ma poi se provi a sparare a tradimento (e di solito sono i giovani nichilisti a farlo) ecco che i vecchi gangster maschiacci diventano degli innamorati pazzi come l’omoerotico Mario Adorf dell’ancora oggi sorprendente finale. Chicca per cinefili all’ultimo stadio: se si osservano con attenzione i primi piani di Gastone Moschin, non può non venire in mente il John Travolta bolso di Pulp Fiction (1994). I due si somigliano assai tranne che per i capelli e Quentin Tarantino è un grande ammiratore del film. A questo punto non possiamo non citare il sequel firmato dal figlio d’arte Tony D’Angelo. Presentato fuori Concorso all’ultimo Festival di Torino, Calibro 9 è d’obbligo per chiunque adori l’originale firmato Di Leo anche se qui il romanticismo barocco degli action movie di John Woo anni ’90 (baciarsi con passione mentre frammenti di vetro volano attorno ai protagonisti in slow motion) non c’entra poi molto con la durezza tra noir e poliziottesco di quel capolavoro anni ’70. Il protagonista è Fernando Piazza (Marco Bocci) cinico avvocato della Milano di oggi, ossessionato dal padre gangster (l’Ugo Piazza di Gastone Moschin) vittima dell’amore per una donna. Occhio al finale velenoso dopo i titoli di coda.

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Sbatti il mostro in prima pagina

Ci piace poi proseguire con la cronaca nera che si mescola con la politica, sempre nel centro meneghino, di Sbatti il mostro in prima pagina (1972) di Marco Bellocchio. Esempio perfetto di cinema militante intrecciato con quello di genere, è un gran bel film di Bellocchio, che sostituisce lo sceneggiatore Sergio Donati alla regia, ahinoi rigettato dall’autore in quanto ritenuto troppo “commerciale”. In realtà funziona tutto in questa storiaccia di femminicidio con la stampa borghese di destra che vuole far per forza diventare l’assassino di una studentessa un ragazzino della sinistra extraparlamentare e non altri sospetti, magari vicini alla chiesa cattolica. Memorabile l’inizio con manifestazione anticomunista cui partecipa un giovanissimo Ignazio La Russa, attualmente Presidente del Senato. La sede del giornale L’Unità serve per ambientare lì tutte le scene del fantomatico quotidiano Il Giornale (bizzarro: la vera testata denominata Il Giornale nascerà dopo il film, il 25 giugno 1974) diretto da un Gian Maria Volontè che si lancia in una delle scene più belle di sempre sul concetto di “giornalismo al cinema” per far capire come la redazione di un articolo possa influenzare la maggioranza silenziosa attraverso la precisa scelta di alcuni vocaboli al posto di altri. E’ una Milano di liceali che escono festanti da scuola, serial killer disturbati sessualmente e religiosamente, fermenti politici manipolabili da una stampa anch’essa in guerra dentro gli schemi geopolitici del ‘900. Grande chiusa che più milanese non si può: Belllocchio inquadra il Naviglio in zona via Calzolari, dove l’acqua è putrida proprio come alcuni personaggi del film.

altri uomini

Altri uomini

Dopo tanti poliziotteschi e affreschi politici in cui Milano fa paura (oltre ai due capolavori sopra aggiungiamo anche Milano odia: la polizia non può sparare di Lenzi e il terrificante San Babila ore 20: un delitto inutile di Lizzani) negli ’80 e ’90 la città diventa luogo di commedione nazionalpopolari eccezion fatta per Altri uomini (1997) di Claudio Bonivento in cui Claudio Amendola è un gangster carismatico che va ad aprire nudo alla polizia che lo accerchia proprio come fa nella realtà Angelo Epaminonda, vice del boss Francis Turatello, nel 1984 quando la Squadra mobile della polizia accerchia il suo covo.

Quando Michele Placido riporta finalmente il gangster movie dentro il cinema italiano con il lungometraggio Romanzo criminale (2005), si ricorda di questo piccolo grande film di Bonivento, in totale solitudine nella produzione italiana dell’epoca, e omaggia l’ex produttore di Marco Risi con un cammeo. Claudio Bonivento in quel film appare dunque fugacemente come magistrato.

vallanzasca

Vallanzasca

E per continuare con Placido ecco ovviamente Vallanzasca (2011) dove le gesta delinquenziali del “bel René”, ladro qualche volta gentiluomo con look da sex symbol, diventano una sorta di biopic con Kim Rossi Stuart nei panni del manigoldo di bell’aspetto e un ottimo Francesco Scianna in quelli di Francis Turatello. Il film ha una produzione lunga e travagliata, che vede coinvolto inizialmente proprio quel Claudio Bonivento di Altri uomini. Si vede Renato Vallanzasca delinquere fin dalla tenera età, esasperando l’incipit di Romanzo criminale in cui Placido già immaginava la Banda della Magliana coesa in età fanciullesca. La banda della Comasina ha così il suo film e pochi ricordano le veementi polemiche che accompagnano la pellicola fin dalla sua presentazione Fuori Concorso alla 67ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. “Sei omicidi, quattro sequestri di persona, innumerevoli rapine” si legge in didascalia alla fine del trailer. La pellicola è una delle prove migliori di Kim Rossi Stuart che in più di una scena è indistinguibile rispetto al vero criminale milanese oggi 72enne, con quattro ergastoli e 295 anni di reclusione sul groppone.

il mio nome è vendetta alessandro gassman

Il mio nome è Vendetta

E concludiamo con la Milano della ‘Nndrangheta di oggi, quella de Il mio nome è Vendetta (2022) di Cosimo Gomez, fenomeno Netflix probabilmente foriero di sequel con un inusuale Alessandro Gassmann come protagonista action. Niente gangster vecchio stile, criminali sex symbol, manipolazioni mediatiche o doppi giochi politici ma un conflitto padre-figlio dentro la ‘Ndrangheta che risiede a City Life ben camuffata dentro i neo-grattacieli accanto la stazione Centrale. Una volta che un ex affiliato viene riconosciuto attraverso una foto fatta dal cellulare, comincia il gioco al massacro con Milano che viene descritta come roccaforte della nuova grande mafia cinematografica italiana degli ultimi anni. Milano in questo caso serve perfettamente come città affaristica in cui ci si può nascondere soprattutto se non vuoi più uccidere per l’onore come il boss padre Don Angelo Lo Bianco di Remo Girone bensì vivere per gli affari, e il sesso, come vuole il figlio del boss Michele Lo Bianco.

Trovate tutte le notizie su L’ultima notte di Amore nella nostra scheda.

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