Lucca Comics & Games 2022 ha visto l’esordio ufficiale di Bonelli Entertainment, la divisione multimediale della casa editrice di fumetti Sergio Bonelli Editore, presente alla fiera toscana con ben due anteprime: il film live action Dampyr (uscito nelle sale lo scorso 28 ottobre), e la serie animata Dragonero – I Paladini, in arrivo prossimamente sui canali Rai.

I primi quattro episodi di questo attesissimo appuntamento, dedicato soprattutto ai più giovani, sono stati proiettati in anteprima assoluta alla kermesse lucchese e noi di Badtaste.it abbiamo potuto assistervi e in seguito intervistare tre degli artefici di questa coproduzione internazionale, che vede coinvolti, oltre a Sergio Bonelli Editore, Rai Kids, PowerKids e NexusTV.

Ringraziamo la casa editrice, Enrico Paolantonio, regista della serie, Mauro Uzzeo e Giovanni Masi, sceneggiatori della serie (insieme a Federico Rossi Endrighi, che ha curato anche parte degli storyboard) nonché creative producer, per la loro disponibilità e simpatia. Benvenuti su BadTaste.it.

Grazie a voi, il piacere è nostro.

Paolantonio – Io sono anche un vostro abbonato!

Come prima domanda, vorremmo che raccontaste ai nostri lettori la genesi di questo progetto: com’è nata l’idea di trasporre “Dragonero Adventures”, la collana a fumetti di “Dragonero” che ha come protagonisti Ian, Myrva e Gmor ancora adolescenti ed è dedicata a un giovane pubblico, su un altro medium, l’animazione.

Masi – Fummo coinvolti in prima persona da Vincenzo Sarno – che conoscevamo già molto bene – responsabile di quello che allora si chiamava Ufficio Sviluppo Bonelli per i progetti multimediali e che oggi è diventato Bonelli Entertainment. Enrico era già stato contattato prima di noi, poi, quando il progetto ha preso la forma attuale, siamo stati riuniti tutti insieme. Vincenzo aveva subito indicato “Dragonero” come una delle proprietà intellettuali di via Buonarroti 38, tra le più indicate per un progetto animato, perché aveva sollevato un fortissimo interesse in RAI, espresso dalla producer Sonia Farnesi, che alla fine ha effettivamente portato a casa il progetto.

Paolantonio – L’idea di portare “Dragonero” in animazione girava davvero da tanto tempo negli uffici della Bonelli. C’era stato un primo teaser in 2D e in seguito si era deciso di passare in 3D.

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Dragonero – I paladini – artbook

Ci spiegate il perché di questa lunga gestazione dopo l’annuncio avvenuto parecchio tempo fa proprio qui a Lucca Comics & Games?

Masi – Per poter realizzare una produzione animata occorre mettere in pista una macchina gigantesca, che ha bisogno di diversi anni per trasformare un progetto in realtà. In più ci si è messo di mezzo il covid. Noi tre ci siamo incontrati di persona a Milano la settimana antecedente il primo lockdown, dopodiché, per tre anni, ci siamo visti e parlati solamente da remoto, utilizzando qualunque sistema di comunicazione esistente al mondo. Potete capire che è stato un tipo di lavorazione veramente atipico. Per noi è davvero una grande emozione essere qui fisicamente, per presentare il frutto di questo incredibile lavoro al pubblico; mi sembra sia passata un’era geologica.

Uzzeo – Tieni conto che per realizzare una serie animata occorre una media di tre anni, quando va tutto bene. Per “Dragonero – I Paladini” stiamo parlando di una produzione di ventisei episodi da venti minuti l’uno, per un totale di 520 minuti, più di quattro film; aggiungiamo che era un esordio, a tutti gli effetti, con la creazione di un nucleo produttivo ex novo. Oggi, per cimentarci con una seconda stagione abbiamo tutta una serie di asset e di workflow che ci permetteranno di velocizzare diversi passaggi, ma per questa prima stagione abbiamo dovuto costruirli tutti da zero. Sono stati tre anni complicati, di duro lavoro e di estenuanti e alienanti video call, anche di dodici ore l’una, ma è stata anche un’occasione che ci ha permesso di attenuare l’atmosfera deprimente del lockdown, di ritrovarci ogni giorno per condividere idee e azioni tra quello che prima di tutto è un gruppo di amici, oltre che di professionisti. Ripeto, è stato tosto, ma, anche se in questi casi lo si dice sempre, ti assicuro che ci siamo divertiti come pazzi!

In una tale situazione, se vogliamo talvolta claustrofobica, si arriva spesso a odiarsi, ma siamo sempre riusciti a mantenere un’armonia invidiabile, grazie anche allo spirito di Enrico, dotato di un dono naturale nell’arte dello sdrammatizzare con una battuta giusta al momento giusto. Nonostante i vari impegni, come il film di “Dampyr” e la serie di “Dylan Dog”, hanno quasi sempre partecipato alle riunioni anche i vertici della Bonelli Entertainment, Vicenzo Sarno, Antonio Navarra, Giovanni Mattioli. Eravamo divenuti una comune virtuale, in cui era normale che ognuno, a turno, spegnesse la webcam per andarsi a fare una doccia o uno spuntino. Era come “Un grande fratello a distanza”, ma con la voglia di tutti di realizzare una serie secondo un imprinting ben preciso, voluto da Vincenzo Sarno. È un nome che ha cominciato a circolare soprattutto con la nascita dell’Ufficio Sviluppo Bonelli, ma che noi conoscevamo da tempo, per la sua enorme esperienza nell’ambito della produzione animata, per il suo passato in DeAKids e per il suo contributo fondamentale a successi mondiali come “Miraculous”. Io e Giovanni veniamo dalla Rainbow con il nostro know-how maturato negli studi di Recanati e di Roma. Enrico con Musicartoon e Lynx Multimedia Factory ha fatto cartoni animati per decenni. Quindi, ci conoscevamo già in realtà tutti quanti, ma non avevamo mai lavorato così assiduamente assieme.

Finisco. Avessimo fatto solo le sceneggiature, saremmo stati già contentissimi, ma il fatto di aver collaborato con loro in questa serie anche nel ruolo di creative producer, rende Giovani e me particolarmente fieri e orgogliosi del risultato finale.

Paolantonio – Giovanni, Mauro, avete detto tutto. A questo punto me ne posso anche annà.

Enrico non scappare perché la prossima domanda è diretta soprattutto a te. Giovanni e Mauro sono di casa in Bonelli e dunque avevano già certamente familiarità con i fumetti e i personaggi di “Dragonero”. Tu, invece, conoscevi qualcosa del mondo fantasy creato da Enoch e Vietti?

Paolantonio – Sono sincero, non conoscevo “Dragonero” o meglio lo conoscevo come lettore occasionale. Sono tuttavia un appassionato di serie Bonelli da sempre: ho seguito fin dai primi numeri “Mister No”, ho amato molto “Ken Parker” e adoro “Julia”.

A livello d’ispirazione per il mondo che abbiamo ricreato in 3D, ci siamo ovviamente rifatti alle tavole originali di “Dragonero”, anzi, Luca Enoch e Stefano Vietti non solo hanno scritto l’intera trama della serie animata e i soggetti di ogni episodio, ma nella fase di pre-produzione hanno seguito costantemente con Giovanni, Mauro e Federico la creazione delle ambientazioni, dei personaggi e la loro evoluzione, per non tradire sia visivamente che caratterialmente lo spirito dei giovani protagonisti ed essere più fedeli possibili al fumetto. Va comunque detto che la serie animata si stacca per certi versi dal fumetto, perché abbiamo dovuto fare delle scelte da un punto di vista stilistico e di linguaggio necessarie alla trasposizione su di un altro medium, ma sempre sotto la supervisione di Luca e Stefano.

Masi – Aggiungo che la Bonelli ha voluto fin da subito che i creatori della serie e dei personaggi fossero parte del progetto e Luca e Stefano sono entrati immediatamente in squadra; l’idea di base della serie animata è la loro, dal villain di turno, Arcana, a tutto il resto. Da lì abbiamo iniziato a lavorare come squadra per ottenere la soluzione migliore per il nostro scopo. Ci sono soluzioni che nel fumetto funzionano e in 3D no, oppure costano troppo, o magari, ancora, il mostro pensato per quell’episodio è inanimabile in CGI, ecc. I questi casi entriamo in gioco io e Mauro nella veste di creative producer. Ognuno ha dato il suo contributo, è stata una scrittura collettiva, un rimpallo continuo: nessuno conosce il mondo di “Dragonero” come Luca e Stefano ma noi abbiamo fatto le nostre aggiunte e riorganizzazioni, funzionali all’animazione.

Paolantonio – Ovviamente una sceneggiatura per il fumetto è molto diversa da una per un episodio animato. Le figure di Giovanni e Mauro sono state determinanti per due motivi principali. La prima è saper scrivere per l’appunto sceneggiature per l’animazione, traducendo per questo medium i soggetti di Luca e Stefano. La seconda è che loro possiedono un’esperienza sul 3D che io non avevo. Io ho portato il mio bagaglio di conoscenze sul 2D e da questo connubio è nato un prodotto che in realtà è CGI ma ha un look molto 2D, che gli conferisce una personalità tutta sua. Per me è stata la soddisfazione maggiore.

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Dragonero – I paladini – artbook

Come avete anticipato voi, i personaggi della serie animata differiscono per alcune scelte stilistiche e di linguaggio da quelli del fumetto originale; l’ho potuto constatare io stesso durante la proiezione dei primi quattro episodi qui a Lucca. Vi siete posti un target di pubblico e una fascia di età ben definita a cui indirizzare questo prodotto?

Uzzeo – Il progetto inziale dell’Ufficio Sviluppo, che è stato concretizzato da Bonelli Entertainment, era quello di realizzare una serie per bambini, dagli otto ai dodici anni, ma dal sapore internazionale e che strizzasse un po’ l’occhio al linguaggio degli anime, quindi anche a quel tipo di regia e a un modello di CGI, detto in gergo cel shading, che ricorda l’animazione tradizionale ed è specifica del mercato nipponico.

A parer mio, l’intuizione geniale di Luca e Stefano è stata l’idea di creare un Dragonero per tutti i gusti e per tutte le età. Io, personalmente, amo di più “Senzanima”, la collana dedicata a un pubblico adulto, mentre Giovanni la testata ammiraglia, che presenta un fantasy più classico. Il fumetto “Dragonero Adventures”, da cui siamo partiti per la serie animata, è rivolto ai più piccoli. Con “Dragonero – I Paladini” noi abbiamo voluto andare a colpire un altro segmento di giovani lettori, leggermente più grandi, che possa coinvolgere anche adolescenti e adulti, come succede con gli anime. Abbiamo cercato di realizzare una storia con una trama interessante, con dubbi etici importanti e con archi narrativi che vanno a sviluppare ognuno dei tre co-protagonisti.

Paolantonio – Sia RAI che Bonelli hanno intrapreso una scelta particolarmente interessante ma piuttosto coraggiosa con “Dragonero – I Paladini”, perché hanno spinto per un tipo di stilemi, di narrazione e di regia che si rivolgesse alla fascia di età specificata da Mauro, ma alzando l’asticella, per offrire un prodotto godibile anche per i più grandi. Abbiamo proposto una trama, inusuale per le serie RAI, fortemente orizzontale; ogni episodio è autoconclusivo ma dal primo è subito evidente un filo rosso che attraverserà tutta la storia e che è stato un input ben preciso datoci da Sonia Farnesi.

Spero proprio che questo accorgimento possa aprire il ventaglio di target prefissato, perché parliamo di un bersaglio “liquido”, molto difficile da individuare e da centrare. Quando iniziai a fare animazione io, questo stesso target di pubblico arrivava fino ai quindicenni; oggi la maggior parte degli adolescenti ha abbandonato l’animazione.

Il riscontro che abbiamo avuto qui a Lucca all’anteprima è stato molto rincuorante e soddisfacente, sia da parte dei bambini in sala ma anche da parte dei genitori. Speriamo davvero di aver fatto un buon lavoro e di aver raggiunto l’obbiettivo: sarebbe la nostra più grande soddisfazione.

Masi – Abbiamo fatto una scelta artistica e di mercato ben precisa. Nel fumetto “Dragonero Adventures” i protagonisti sono più piccoli, in “Dragonero – I Paladini” sono un po’ più grandi, in ottica anime e perfetta per il nostro target. C’è una regola nell’animazione: i bambini tendono ad appassionarsi a protagonisti un poco più grandi di loro, perché accendono le loro aspirazioni.

Apro una parentesi. Possiamo dire che abbiamo dato il la alla nascita di una quarta collana a fumetti di “Dragonero”, perché ci sarà un magazine dedicato all’”Adventures” e uno ai “Paladini”. Quest’ultimo sarà più strettamente sotto il controllo di Luca e Stefano mentre nella serie TV, per discorsi di linguaggio di un altro medium, come discutevamo prima, ci è stata lasciata più libertà.

Tornando al discorso principale, ci era stato espressamente chiesto di creare un prodotto dall’appeal internazionale e oggi, ancor più di ieri, il punto di riferimento assoluto resta l’animazione giapponese. Luca Genovese, che ha curato il character design dei personaggi, ha questa mano felicissima in cui le influenze manga e anime si combinano perfettamente con lo stile Bonelli, perché Luca è da anni un disegnatore Bonelli, cresciuto in Bonelli. Il risultato, come hai potuto vedere, è un mix originale in cui le radici Bonelli sono evidenti. Gli sfondi, invece, hanno un sapore più classico e qui abbiamo sfruttato le grandi capacità in 2D di Enrico. D’altronde questo è l’indirizzo del momento, pensate ai background della serie animata de “L’attacco dei giganti” o di altri anime, successi internazionali.

Paolantonio – Aggiungo che sui set e sulle ambientazioni abbiamo voluto una struttura molto realistica, al di là del fatto che stiamo parlando di fantasy. La stessa cosa accade per il tipo di colorazione e di luce che, tuttavia, trasmette anche atmosfere di mistero e magia.

Nel nostro studio abbiamo fatto un corso accelerato di un mese con Leonardo Ken Usami; è uno scenografo anime che lavora esclusivamente per il Giappone e che ci ha spiegato i piccoli trucchi utilizzati nell’animazione del Sol Levante, costituiti da piccoli ma importantissimi dettagli come il riverbero del sole sulle pietre o la forma delle nuvole. In sostanza, diciamo che la nostra è una serie italiana, perché la nostra anima creativa è italiana, ma con un cuore molto originale.

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Dragonero – I paladini – artbook

Assistendo alla proiezione dei primi quattro episodi – a proposito di anime – ho notato degli omaggi a dei topos che erano ricorrenti nelle serie che spopolavano tra gli anni 70 e gli ’80 ed erano soprattutto di genere mecha. È così?

Uzzeo – Sì. Confermo. La volontà era proprio quella: omaggiare la storia degli anime nella nostra serie. Così abbiamo inserito nei primi episodi la reiterazione di alcune dinamiche tipiche di quelle produzioni di quegli anni: la generazione e la presenza di un nuovo mostro da affrontare in ogni episodio, l’apparizione delle armi degli eroi, e altro ancora. Ti dico però che ciò accade solo nei primi episodi di “Dragonero – I Paladini”. Nel quarto, che hai visto anche tu, si cambia modalità. Abbiamo voluto per la nostra serie una semi-verticalità per ogni episodio e una trama orizzontale che li legasse tutti, scandendoli in mini-archi narrativi composti da quattro episodi l’uno. Nel primo, proiettato qui a Lucca, hai potuto assistere alla composizione della squadra, alla scoperta della loro missione e anche al fatto che non sempre riusciranno ad avere la meglio sul nemico come accadeva negli anime classici. La stessa nemica, Arcana, è molto più complessa di quanto possa sembrare e al termine del quarto episodio, per chi è stato o sarà attento, ce n’è già un accenno: non voglio fare spoiler.

Qual è stata la parte più complessa della fase di lavorazione di questo ambizioso progetto?

Paolantonio – Senza dubbio le ambientazioni. I nostri bravi sceneggiatori non si sono risparmiati; nella totalità dei ventisei episodi, non dico che ogni volta cambiamo set, ma poco ci manca e si tratta sempre di ambienti di fantasia giganteschi da ricreare, mantenendo fede al realismo di cui ti dicevo prima.
L’altra grande difficoltà è che le scenografie su carta, se hai dei buoni artisti a disposizione, sono sempre belle da vedersi; il problema sorge quando si passa al 3D. Qui, il merito va anche al nostro direttore tecnico, Corrado Virgili, che insieme a tutto lo staff è riuscito a riportare l’effetto pittorico originale delle scenografie in ambito tridimensionale e che ci ha permesso di avere una libertà di camera, impensabile per un set bidimensionale, facendoci raggiungere i risultati di regia che ci eravamo prefissati. Coi personaggi si è fatto un processo inverso: sono figure in CGI che con il cel shading hanno acquistato un sapore in 2D. Il lavoro più corposo, impegnativo e strepitoso resta comunque, ripeto, quello effettuato sulle ambientazioni e sul passaggio fedele dal 2D al 3D.

Masi – La realizzazione di una serie animata in 3D, sembrerò ripetitivo, è un lavoro immenso e ogni suo step ti pone di fronte a delle scelte e a dei problemi da risolvere, non solo in fase di realizzazione, ma anche di sviluppo, di pre e post produzione. La cosa fondamentale è avere una linea ben chiara da seguire e in tal caso Vincenzo Sarno e Sonia Farnesi avevano le idee ben chiare fin dal principio.
Prima di tutto devi scegliere il software che ritieni più adatto al tuo progetto. Poi Enrico deve decidere come impostare la produzione con gli storyboardisti e il 3D è un mondo completamente diverso da quello in 2D. Per il doppiaggio, Enrico lo sa meglio di me, non essendoci nessuna puntata finita su cui lavorare nel modo tradizionale per i doppiatori – cosa normale per una serie d’animazione ex novo – abbiamo chiesto a Nexus degli attori che non facessero doppiaggio ma interpretassero il personaggio, per creare il suo mood. Ciò è stato di grande aiuto per i nostri animatori che, riascoltando la traccia audio e sentendo la battuta recitata bene, con il timing giusto, sono riusciti a far recitare al meglio i loro soggetti, e potere andare avanti con la sfilza di sfide e soluzioni che abbiamo incontrato lungo il cammino.

Uzzeo – C’è una battuta di Andrea Pazienza che a me piace sempre ricordare: “Io ai soldi ci penso, in continuazione, ma ci penso prima di fare una storia e dopo che l’ho fatta, non ci penso mai durante”. Parafrasando quest’uscita meravigliosa di Pazienza, posso dire che è vero che creare una serie animata partendo da zero è un’impresa titanica: dal formare il gruppo di lavoro all’affrontare le problematiche della CGI, dalle esigenze delle tempistiche e dei network alla produzione. È una serie quasi infinita di grattacapi da risolvere; però, credimi, che tutto ciò è sempre restato fuori quando ci siamo riuniti per dar sfogo alla parte creativa di questo lavoro. Ci pensiamo prima e dopo, ma non quando pensiamo e ci divertiamo a costruire una storia. Allora, tornando alla tua domanda, ossia quale sia stata la parte più difficile, la sfida più grande di questo progetto e che è il nostro obbiettivo è sempre stato lo stesso: realizzare un episodio che possa scorrere fluido, fresco, per una ventina di minuti e regalare divertimento e svago al pubblico, senza fargli minimamente pensare che chi ci ha lavorato abbia dovuto effettivamente sudare e scalare una serie di montagne di problemi, scervellandosi per trovare le soluzioni più adatte.

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Dragonero – I paladini

Proseguendo su questo filo della discussione, spieghiamo, soprattutto ai lettori di fumetti, come cambiano i ruoli degli attori in gioco e che figure si aggiungono nella realizzazione di un’animazione. Nel Fumetto, per esempio, la regia viene condivisa in taluni casi tra sceneggiatore e disegnatore, in altri governata dall’uno o dall’altro. Si scrive un soggetto, poi si passa alla sceneggiatura e quindi al disegno. Nell’animazione c’è un terzo ruolo ad hoc per la regia, il regista appunto, e la lavorazione, come ci avete già anticipato, è molto più articolata. Cosa potete dirci a tal proposito?

Masi – Bella domanda! Non è facile rispondere in breve. Cominciamo dal Fumetto e da come si lavora solitamente in Bonelli. Lo sceneggiatore parte dal soggetto e scrive una sceneggiatura molto accurata, dove divide la tavola in vignette e in ognuna di queste indica una regia di massima e inserisce i dialoghi. Il disegnatore ci si mette a lavorare sopra e succede non di rado che vari la regia o la ampli. La regia può essere quindi condivisa, come dicevi tu, a seconda dell’estro dei due artisti coinvolti.

Questa cosa non funzionerà mai in animazione, perché le persone che partecipano al processo sono molte di più. La regia in animazione è un’operazione molto precisa e molto tecnica, perché deve coordinate una serie di figure coinvolte nella produzione e lavora soprattutto con uno specifico strumento che è lo storyboard e nel nostro caso anche con i thumbnail – che sono degli sketch super rapidi – alcuni creati da Federico Rossi Endrighi, che è anche sceneggiatore. Bisogna dire che in animazione lo sceneggiatore non indica mai la regia – al massimo la suggerisce – ma deve occuparsi del ritmo delle scene e dei dialoghi. Io e Mauro, essendo anche creative producer, dovevamo stare attenti pure a non sforare con il budget, perché più cambi scena rapidamente, più si alza il costo della sequenza. Il regista, in seguito, incamera la sceneggiatura e comincia a spacchettarla con l’aiuto degli artisti che si occupano di thumbnail e si iniziano a vedere le varie sequenze. Quindi entrano in azione gli specialisti di storyboard. Fino a questo punto, contiamo già quattro ruoli di artisti diversi che si occupano della lavorazione. Gli storyboardisti mettono a registro i thumbnail, partendo a disegnare gli sfondi, perché bisogna capire se quegli sfondi in 2D funzionano in 3D. Vengono definite le espressioni di massima ed entra in gioco la regia. Parallelamente a tutto ciò, c’è chi si occupa delle ambientazioni, che ovviamente devono essere coerenti con gli storyboard. A questo punto si deve passare dal 2D al 3D e tutta questa marea di lavoro – in parte capita anche di buttarla o scremarla diciamo – si porta dentro il computer per elaborarla in CGI e in 3D. È un lavoro molto affascinante ma molto difficile e io e Mauro abbiamo seguito ognuno di questi passaggi come creative producer.

Uzzeo – Occorre sottolineare che quando si lavora a una storia a fumetti, noi sceneggiatori abbiamo la libertà di inventare ciò che ci pare perché tanto poi sarà la capacità dell’artista e la potenza evocativa delle sue matite e delle sue chine a imprimere alla scena dinamismo e azione. Infondo, il Fumetto è una via di mezzo tra la Letteratura e il Cinema. La letteratura evoca immagini, il Fumetto te le mostra ma evoca a sua volta tutta una serie di suoni, movimenti, ecc. Nel Cinema, in questo caso nell’animazione, tutta questa sequela di effetti li devi mettere, non puoi lasciarli all’immaginazione dello spettatore. Quando hai in mente una scena per un fumetto ti devi solo preoccupare quanto lavoro e impegno costerà al disegnatore: in animazione, quel lavoro e quell’impegno è moltiplicato per tutte le figure coinvolte, di cui parlava Giovanni. I creative producer devono cercare di ottimizzare al meglio lo sforzo di tutti gli specialisti presenti nel processo.

Faccio un esempio banale. Nel soggetto di Luca e Stefano si legge che al termine di un’avventura i tre protagonisti si rilassano facendo tuffi in un laghetto vicino a dove abitano. D’accordo, dobbiamo disegnare un set e trasformare tutto ciò in una sequenza. Si comincia a ragionare sull’uso di liquidi, sulla resa dell’acqua, dell’interazione solido-liquido, che comporta tempi di rendering, uno specifico lavoro sulle dinamiche, ecc. Tecnicamente, è ovvio, si può fare, ma, come altrettanto è ovvio, ha uno specifico costo. La domanda fondamentale che bisogna porsi e che bisogna porre a Luca e Stefano è dunque: “quante volte rivedremo quest’ambiente? Tornerà in più episodi?” Se la risposta è sì, può valere la pena e lo si renderà al meglio perché si porterà più volte lo spettatore in quello scenario; lo sforzo lavorativo per produrlo sarà in tal modo ottimizzato. Ma se questa scena si vedrà solo in un episodio, come si dice, il gioco vale la candela? Una soluzione è inventare un’altra sequenza che offra le stesse emozioni, la stessa atmosfera scherzosa e di relax, che costi meno. Ogni idea ha un costo, è questo il messaggio essenziale.

Chiudiamo con una questione molto controversa, anche per i dati al riguardo, spesso discordanti o altalenanti. Pensiamo ai leader del mercato dei cinecomic, Marvel e DC. La trasposizione degli eroi dei fumetti in serie e film animati e live action porta davvero a un circolo virtuoso che produce benefici al Fumetto stesso? Oppure, non è che i fruitori dello stesso character o soggetto, declinato su media diversi, non siano per nulla gli stessi ma diversi e svincolati?

Masi – È come dici tu: i dati sono spesso contrastanti. Ti porto l’esperienza personale, mia e di Mauro. All’area Games della fiera abbiamo parlato con appassionati e acquirenti del gioco di ruolo della nostra serie “Il confine”, che ci hanno confidato che non hanno mai letto il fumetto! Per cui io non so davvero se si tratti di un circolo virtuoso o meno ma è estremamente divertente, perché non è detto che qualcuno che non ha mai letto fumetti non si appassioni al film di “Dampyr”. Comprerà poi il fumetto? Chi lo sa! Importa di certo da un punto di vista aziendale. Da autore, a me interessa raccontare bene quella storia e concentrarmi sul medium su cui la sto adattando. Sono convinto che se riuscirai in questo intento, accenderai passione e curiosità e la traslazione sarà naturale.

Poi abbiamo a che fare con mercati molto diversi tra loro. In Giappone l’anime sostiene il manga e viceversa, c’è un legame quasi viscerale, ma sono una cultura e un linguaggio visivi molto lontani da ciò che abbiamo in Italia, per esempio. In America, da quello che so io per Marvel, l’osmosi di cui parliamo non è così forte.

Credo che questo sia un momento elettrizzante per fare il nostro mestiere, perché il mondo è una palla che rotola, completamente impazzita, dove ciò che conta è fare belle storie, per tutti i pubblici possibili e, finalmente, anche in Italia, con Bonelli Entertainment, esiste una realtà multimediale, che si è presentata a Lucca con un film e una serie animata; al mondo si possono contare cinque, sei realtà, che possono permettersi mosse del genere.

Uzzeo – È innegabile che pubblico chiami pubblico, ma è altrettanto innegabile che per le generazioni più giovani, come quella a cui appartiene mio figlio, “Spider-Man” sia esclusivamente o soprattutto una serie di film. Io lo chiamo ancora Uomo Ragno, quanto sò vecchio! Per me è importante mantenere le proprietà intellettuali vive, e vive nel loro tempo. In ottant’anni di storia la Bonelli ha realizzato un immenso patrimonio di storie e di personaggi formidabili ed è inaccettabile che questo patrimonio nasca e duri un mese in edicola o venga ristampato in un altro albetto simile all’inedito; un capolavoro come “Dylan Dog: Memorie dall’invisibile” oggi è un libro cartonato che merita un posto in libreria, come “Corto Maltese: Una ballata del mare salato” e che si può acquistare ogni volta che lo vorrai. L’idea che queste storie possano diventare altro ma rimanere come mito nell’immaginario di generazioni è fantastico. Sentire fra dieci anni un ventenne affermare “Dragonero? Ah sì, guardavo sempre il cartone animato quand’ero piccolo”, oppure, “Dampyr? Ho visto tutti i film!”, così com’è bello ed entusiasmante sentir dire leggevo quel fumetto o quella serie. Le storie sono cicliche, si ripetono e affondano le loro radici in archetipi che non hanno né età né tempo.