Un film come The Lone Ranger costato, secondo stime attendibili, quasi 400 milioni di dollari fra budget e marketing globale, in grado di causare perdite comprese fra i 100 e i 190 milioni di dollari, avrebbe portato qualsiasi major a riconsiderare il proprio approccio ai tentpole.

Non è un caso che, nel recente passato, diversi studi hollywoodiani abbiano cercato e creato partnership importanti per la realizzazione di pellicole dall'ingente budget, in maniera tale da suddividere gli sforzi economici e gli eventuali ricavi. Pensiamo, ad esempio, a World War Z, figlio della Paramount, della Skydance e della GK Films.

Se la major in questione è la Disney il discorso cambia e anche un "fallimento" come The Lone Ranger diventa relativo.

Dave Hollis, vice presidente della divisione theatrical della Disney, non nega il flop:

E' stata una delusione, specie perché pensavamo di avere tutti gli ingredienti necessari al successo del film.

Ingredienti che rispondono al nome di Jerry Bruckheimer, Gore Verbinski e Johnny Depp, il team dei Pirati dei Caraibi. Per loro non ci sono assolutamente parole di biasimo. L'accento viene semmai posto sulla mancanza di familiarità col personaggio da parte del grande pubblico:

Il retaggio, l'eredità di The Lone Ranger non si sono connessi adeguatamente ai gusti degli spettatori più giovani. Non era qualcosa di conosciuto e non ha attirato la loro attenzione. 

Stando ai dati degli analisti, il 68% degli spettatori del primo wek end era sopra i 25 anni e il 25% sopra i 50. 

La major però non prevede in alcun modo un cambio di strategia nel suo approccio verso i blockbuster dall'alto profilo produttivo. Fondamentalmente perché i suoi asset sono così variegati e solidi che le sue azioni sono in grado di salire a Wall Street nonostante il pesante fiasco di un The Lone Ranger. 

Hollis continua:

La nostra strategia basata su pochi tentpole annuali brandizzati Disney non cambierà. E' al 100% quello che abbiamo intenzione di fare e che faremo. Fra Disney, Marvel, Pixar e LucasFilm, più la distribuzione dei live action della DreamWorks (discorso valido solo per il mercato statunitense; worldwide sono affidati alla Fox, ndr.), avremo un sacco di tentpole in arrivo nel corso dell'anno. Tre dei nostri quattro grandi film del 2013 hanno avuto aperture da oltre 75 milioni di dollari in week end non accompagnati da feste nazionali (il riferimento va a Il Grande e Potente Oz, Iron Man 3 e Monsters University, ndr.). In soli quattro mesi, abbiamo mosso un mercato da due miliardi di dollari. 

Perché quando una compagnia è in grado di racchiudere, sotto il suo gigantesco ombrello, proprietà intellettuali come quelle della Pixar, della Marvel, della neo-arrivata LucasFilm, in aggiunta ai vari interessi televisivi e a un Impero fatto di frequentatissimi parchi a tema, una perdita da 190 milioni di dollari assume dei contorni molto meno preoccupanti.