Fonte: Badtaste.it

E' sempre bello vedere come delle idee assurde continuino a propagarsi solo perché i grandi mass media le portano avanti. Questo articolo del Corriere della Sera Online, che riprende un pezzo del New York Times, è emblematico. Il discorso è sempre il solito: le grandi società del mondo dell'informazione si lamentano perché i loro contenuti verrebbero sfruttati gratuitamente su Internet. La cosa assurda è che il piagnisteo non sia diretto ai siti che riprendono interamente i contenuti altrui (come avviene per Dagospia, ma lì forse l'ego dei giornalisti ha la meglio sugli interessi generali delle aziende), ma agli aggregatori, tra cui il più famoso è certamente Google News.

Ora, già il fatto che ci si lamenti dell'esposizione su Google (che non deve riprenderti per forza, i mezzi per impedirlo ci sono e non c'è bisogno di chiedere leggi apposite) basterebbe per parlare di follia pura. Ma affrontiamo alcune questioni. C'è chi fa paragoni con YouTube, che ha accettato di pagare royalties ai proprietari di materiale protetto da copyright. Ergo, perché non chiedere lo stesso a Yahoo e Google? Risposta semplice. Un conto sono le citazioni su Google (che lette da sole non hanno molto senso e che obbligano gli interessati ad andare sul sito della fonte giornalistica), un conto sono dei contenuti che possono essere fruiti completamente su YouTube. Nel secondo caso, è normale chiedere un pagamento; nel primo proprio no, soprattutto se il contenuto è gratuito (e allora una sorgente di nuovo pubblico dovrebbe solo far felici, come avviene per noi di Badtaste).

E' impossibile poi non riportare un paio di ovvie obiezioni citate da Techdirt. La prima è l'idea presuntuosa dei grandi mezzi di 'possedere' le notizie e che quindi tutti gli altri che arrivano dopo devono pagare. Techdirt dice giustamente che, nel caso, i 'proprietari' delle notizie sono le persone coinvolte (uno sportivo che batte un record, un uomo scampato a un disastro aereo, ecc.) e non certo i mezzi di informazione. Inoltre, decidere di puntare su formule a pagamento significa non solo perdere forti introiti pubblicitari (probabilmente in aumento nei prossimi anni), ma anche importanza. Si cita, per esempio, l'apporto degli 'esperti' agli articoli. Un conto è parlare con un giornalista di una testata seguitissima, un altro è perdere tempo con qualcuno che rappresenta una realtà per pochi abbonati.

Infine, mi è impossibile non notare due paradossi. Tra i grandi gruppi industriali che si sono lamentati di questo 'problema' c'è quello dell'Espresso. Ossia, chi ha speso (e perso) più soldi in Italia nel settore dei portali con l'avventura di Kataweb. Insomma, non proprio delle persone che hanno caito benissimo Internet. Ma la questione più interessante è che, come capita spesso, l'articolo del Corriere non linka alla fonte citata (in questo caso il New York Times). Insomma, ci si lamenta dei furti e poi si utilizza materiale di altri senza offrire neanche un po' di visibilità in cambio. Altro che Google News, complimenti per la coerenza…

 

Cosa ne pensate? Ditecelo nei commenti qui sotto!