Dietro a Il Campione c’è Groenlandia, ovvero lo spin-off della casa di produzione Ascent, che è gestito da Matteo Rovere e Sydney Sibilia. Loro due hanno supervisionato, da produttori, il film diretto dall’esordiente Leonardo D’Agostini.

E proprio la produzione è una delle parti più clamorose di questo film che coinvolge marchi, brand e volti noti, che dà solidità alla sua storia con ambientazioni, abiti, auto e tutto quello che serve a non far sembrare il calcio e il suo mondo una finzione ma una copia perfetta della realtà.

Abbiamo incontrato i due produttori e parlato di come il film è stato concepito e delle difficoltà di metterlo in piedi (c’era presente anche Leonardo D’Agostini, il regista, che abbiamo intervistato a parte e che ogni tanto ha aggiunto qualcosa).

Sydney Sibilia ha girato i tre film di Smetto Quando Voglio, che specie nel secondo e terzo capitolo prevedono scene dalla produzione elaborata (come quella del treno che vi raccontammo dal set), Matteo Rovere ha girato Veloce Come Il Vento nel mondo delle corse e poi quell’impresa che è stata Il Primo Re. Eppure questo film loro non lo considerano più semplice “È tutto difficile allo stesso modo” dice Sibiliase molli un centimetro o se ti accontenti perdi la credibilità. Se ti rilassi è un disastro. I telecronisti di Sky devi contattarli per tempo perché sono talent molto importanti e devi girare quando sono in studio ma non stanno lavorando. Ti devi chiedere subito che mondo vuoi raccontare poi: giocatori veri e squadre finte o giocatori finti e squadre finte, o ancora giocatori finti e squadre vere? Abbiamo scelto di non avere i veri giocatori perché rende il film troppo attuale, già tra qualche anno ti distrarrebbe vederli, magari uno ha cambiato maglia, l’altro si è ritirato… Ma invece abbiamo voluto giornalisti veri perché sono un po’ più duraturi nell’immaginario”.

Questo è un film ambientato nel mondo del calcio ma che non parla di calcio, parla di amicizia e di figure paterne. È sempre stato così o nasceva come un film sul calcio?

SYDNEY SIBILIA: “È sempre stato così
MATTEO ROVERE: “La storia che il regista ci ha portato era un romanzo di formazione con riferimenti molto precisi da Scoprendo Forrester a Will Hunting fino a Quasi Amici, non è mai stato un film sportivo. Di contro il nostro gruppo di lavoro cerca di metterti sempre a disposizione il know how per fare le cose in un certo modo, abbiamo così cominciato a lavorare con gli storyboard e la preproduzione di uno sfondo complicatissimo, quello del calcio, per una storia che parla d’altro”.
SS: “Una storia intima. Perché lo sport nel calcio in fondo c’è poco, nella realtà calcio e sport sono separati, il calcio è un’industria, è intrattenimento tant’è che quando c’è la partita i film vanno male al cinema. È un’industria più ricca della nostra ma è pur sempre show business e quello volevamo raccontare”.

Perché la Roma? Per vendere meglio il film non vi conveniva una squadra più grossa come la Juve?

MR: “Abbiamo avuto l’adesione di molte squadre (Roma, Lazio, Fiorentina, Sampdoria, Chievo, Sassuolo e il Pisa per le scene di calcio giocato), tutte ci hanno aiutato a fare il film. È stato un grandissimo lavoro che, come per Veloce Come Il Vento, sapevamo che andava iniziato anni prima, andando da loro a raccontargli il film per proporglielo. Piano piano siamo entrati in contatto e ci hanno aiutato a scrivere la sceneggiatura, ci hanno cambiato alcune cose sposando in toto il progetto. La Roma in particolare è stata la squadra che, tra le molte, ci pareva tra le più forti dal punto di vista empatico e del racconto che già si è cucita addosso. Inoltre è anche la squadra che ci ha detto di sì per quel ruolo così centrale. Non è che altre squadre importanti ci abbiano detto di no, ma abbiamo capito che la Roma aveva più entusiasmo e tutto quindi sarebbe stato più facile”.

Ci sono inquadrature girate all’Olimpico durante le vere partite giusto?

SS: “Sì abbiamo girato all’Olimpico. Tutti gli spalti e il pubblico sono di una vera partita, ma il quadrato verde di campo in cui effettivamente i nostri giocatori-attori giocano è il campo del Pisa, sovraimposto al computer”.
MR: “Considera che Totti non l’ha notato, quando l’abbiamo incalzato su domande tecniche sul calcio”.

Cioè? Gliel’avete fatto vedere?

SS: “Sì, ma non assieme alla Roma, cui pure l’abbiamo fatto vedere, in una saletta da solo con Ilary. Non bisogna confondere Totti con la Roma, sono entità separate”.

Ma perché?

MR: “Per capire come un calciatore importante prenda una storia così”.
SS: “C’era partita la paranoia che fosse troppo una presa in giro di un certo mondo, temevamo si sarebbe infastidito
MR: “Ha fatto delle riflessioni interessanti sull’essere genitore e su una carriera di alti e bassi. Alla fine ha pianto e Ilary mi ha mandato un messaggio che parlava della nostalgia di un periodo per loro in fondo sia lontano che vicino. Lei del resto l’ha seguito da quando aveva poco più di vent’anni, e lui si è rivisto in questa carriera (anche se non è la sua ma più quella di un Balotelli). Nella parte emotiva ha riconosciuto una grande coerenza e ha sentito un grande trasporto. Tant’è che a proiezione finita c’è stato un momento di silenzio, si è girato e ci ha fatto: “Sapete che ve dico? È proprio così”.
SS: “Immagina la sagoma di Totti con gli occhi lucidi e i titoli di coda sullo schermo di sfondo”.
MR: “La paura che fosse ridicolo ce l’avevamo perché basta solo mettere sullo schermo certe cose perché sembrino esagerate. Le cose più assurde del film sono prese dalla realtà, incluso il maialino, ma lì possono sembrare esagerate. Poi Totti ha parlato del suo ruolo di genitore con il figlio Christian, il rapporto con i ragazzi. Noi cercavamo commenti tecnici e invece ci ha sorpreso. Lo vuole rivedere con suo figlio”.

La sceneggiatura l’ha scritta Giulia Steigerwalt che ha già dimostrato una certa mano con i modelli statunitensi, era per questo che l’avete voluta?

MR: “Lei risponde ad un gusto che è anche nostro, quello americano e che nel campo della sceneggiatura fa riferimento a Blake Snyder o Robert McKee, insomma quel tipo di struttura in tre atti che gli sceneggiatori italiani non so perché negano, forse gli dà fastidio perché la manualistica tende a non piacere. Lei invece si è formata alla UCLA ed ha una visione localizzata con regole precise. E quando lavori su uno script seguendo quelle regole puoi trovare una grande libertà”.
SS: “Soprattutto in un film come questo, visto che ti conduce verso una situazione precisa che conosciamo (quando pensi alla storia di un calciatore-rockstar che deve prendere la maturità la direzione è chiara), se neghi quella scansione finisci per deludere il pubblico. Il Campione è un film che ha dei paletti che sono come dei cliché, non li devi prendere in pieno ma li devi sfiorare, perché se invece ti ci tieni lontano diventa un altro tipo di film e lo spettatore avrà solo l’impressione che non sia tanto riuscito”.
MR: “Non deve essere sorprendente o avere elementi di struttura che ti sconvolgano o ti lasciano spiazzato. Secondo me un film come questo diventa sorprendente quando imponi questa struttura su una sceneggiatura che ha anche tanti elementi italiani”.

Accorsi mentore drogato di corse prima e ora mentore che è stato alcolizzato, gli manca il gioco d’azzardo. Vi piace lavorarci su questa figura o piace a lui?

SS: “Oh regà facciamo un altro film di mentoraggio con Accorsi!?
MR: “Dai sì sì!
SS: “Ma già è stato drogato! Allora lo facciamo bere dai dai!” [ridono] non è proprio così, è davvero un caso
MR: “È un percorso molto curioso e tortuoso quello che ci porta alla sceneggiatura finita, non c’è quella progettualità precisa che consentirebbe di vederla come dici tu”.

Andrea Carpenzano nel film tocca il pallone molto bene, l’avete scelto perché gioca?

MR: “È una pippa al sugo
SS: “È inguardabile
LEONARDO D’AGOSTINI: “Non si può vedere
MR: “È tutto fatto al computer

Ma non era centrale la scelta di uno che sapesse giocare?

LDA: “Serviva uno con capacità importanti da attore ma anche con un fisico da atleta e nella migliore delle ipotesi trovavamo o l’uno o l’altro, ne ho incontrati un milione sia tra gli attori che tra i calciatori di tutte le scuole calcio di Roma. Volevo un ragazzo che comincia a diventare un uomo, quel momento di passaggio. Ma Andrea Carpenzano mi ha folgorato anche se non ha il fisico da sportivo. Gli abbiamo fatto fare palestra e l’abbiamo vestito imbottito. E alla fine siccome ha la presenza ci credi ma il lato sportivo è quello su cui abbiamo dovuto lavorare di più.
Non facevamo provini con pallone ma lo chiedevo a tutti delle esperienze sportive. Ho trovato anche attori abbastanza bravi che davano due calci ma Andrea mi pareva molto più giusto”.
MR: “Andrea ha anche lavorato con un allenatore che ci ha dato una mano ma era più sull’acting che cercavamo un talento, e con la computer grafica abbiamo fatto tutto il resto. Quando lo vedi a figura intera è Stephan El Shaarawy che fa i palleggi, poi ci abbiamo aggiunto la faccia di Carpenzano”.
LDA: “Il punto era dobbiamo cementare il calcio o l’amicizia? Il calcio è importante ma più importante era un grande attore che potesse essere all’altezza delle scene”.

Quanto a scene di calcio non avevate molti rivali però in campo italiano. Le migliori scene di calcio di un film italiano risalgono al ‘53, Gli Eroi Della Domenica con Raf Vallone (che era un calciatore per davvero), anche se oggi suonano datate perché sono un po’ velocizzate…

SS: “Anche noi abbiamo velocizzato un punto. Di poco eh, solo del 10%. È che sono tutti giocatori del Pisa quelli che vedi con le varie maglie di Lazio o Sampdoria, solo che sono giocatori di serie C e c’è una differenza tra loro e quelli di serie A in termini di velocità”.

È la parte da lontano in cui si vede tutto lo stadio? Lì si nota che vanno un po’ troppo lenti…

SS: “È quella sì. E l’abbiamo velocizzata eh! Ma è un’inquadratura di 3 secondi dai!!
MR: “Mi raccomando non dirlo a Del Brocco [AD di Rai Cinema] a cui il film è piaciuto tantissimo ma che ci ha subito detto che in quei 3 secondi i giocatori sul campo si muovono troppo lenti e vanno velocizzati, solo che quando lui l’ha visto in realtà l’avevamo già fatto, era già velocizzato. Pensa che nella proiezione con Totti l’ha chiesto anche a lui ma Totti non l’aveva notato”.

Cioè mi vuoi dire che è un dettaglio di plausibilità che nota di più un occhio abituato al cinema che un occhio come quello di Totti abituato al calcio vero?

MR: “”.
SS: “A me non dà fastidio devo dire. Se lo velocizzavamo di più diventava ridicolo”.
LDA: “Oh so’ tre secondi davvero dai!

 

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