Keith Miller ha lavorato ad alcuni dei più importanti blockbuster degli ultimi anni. Parlo di film quali Avatar di James Cameron, Le Avventure di Tintin di Steven Spielberg, Iron Man 3 di Shane Black e L’Uomo d’Acciaio di Zack Snyder.

Miller è in forze alla Weta Digital di Peter Jackson fin dal 2005, anno di uscita di King Kong, film per il quale ha lavorato in veste di lightin Technical Director.

In occasione della View Conference 2014 di Torino ho avuto modo d’intervistarlo e di parlare con lui della sua ultima fatica, Apes Revolution – Il Pianeta delle Scimmie, il campione d’incassi di Matt Reeves dove ha ricoperto il ruolo di VFX supervisor. Il kolossal è disponibile da oggi in Blu-Ray e Dvd (più in basso trovate il link al nostro articolo contenente tutti i dettagli delle varie edizioni disponibili).

 

E’ la tua prima volta in Italia?

No, in realtà c’ero già stato una ventina di anni fa. Sono stato a Firenze, Roma, Venezia, però visto che sono passati tutti questi anni è come se fosse una prima volta.

La Weta Digital sta celebrando i suoi primi 20 anni. Qual è il segreto del suo successo?

Abbiamo tantissimi artisti di talento, è una comunità di persone con una fantastica etica del lavoro e dove è splendido avere la possibilità di esercitare la professione. Poi andiamo tutti d’accordo perché siamo tutti accomunati dalle stesse passioni e un sacco dipersone che magari hanno tentato di andare a vivere altrove per tentare delle nuove avventure professionali, poi sono tornate indietro. La nostra è un’autentica community di gente piena di talento e questa credo sia la chiave del nostro successo.

E’ cambiata molto la scena degli effetti speciali negli ultimi 20 anni?

Oggi si parla di una comunità globale per gli effetti speciali, la situazione come suggerisci giustamente tu è cambiata molto dagli anni novanta. Ci sono così tanti individui che ora lavorano in questo settore spingendo quotidianamente più in avanti la soglia qualitativa di questo sforzo collettivo.

Il tuo primo film alla Weta è stato King Kong, giusto?

Sì, esatto è stato King Kong.

Parliamo di Apes Revolution – Il Pianeta delle Scimmie come se fossimo due normali spettatori e non un VFX Supervisor e un giornalista di cinema. A prescindere dagli effetti speciali grandiosi ho davvero amato la rappresentazione di questo mondo post-umano. Tu?

Ho davvero amato il fatto che la componente principale della storia sono i personaggi, le loro emozioni e psicologia. E non è una cosa così automatica quando ci troviamo a lavorare a film come questo che sono pieni zeppi di effetti speciali digitali. Molto spesso si tratta di blockbuster spettacolari con esplosioni e effetti d’impatto in cui l’elemento emotivo finisce in secondo piano e non si stabilisce questa connessione con lo spettatore. C’è tanta distruzione e poca attenzione allo storytelling. Matt Reeves, il regista, è stato davvero bravissimo nel porre la dovuta attenzione verso questo elemento e per noi è stato grandioso lavorare su questi personaggi arricchiti dalla computer grafica coi quali le platee dei cinema sono potute entrare in relazione emotiva.

Quando ho visto il primo full trailer di Apes Revolution – Il Pianeta delle Scimmie ricordo di aver pensato “Wow, Matt Reeves potrebbe girare un egregio adattamento di The Last of Us!”. Dato che i VFX e i videogame hanno svariate cose in comune cosa mi dici della contaminazione visuale fra film e videogiochi?

Mmmm, bella domanda. Da un certo punto di vista il crossover fra questi due mezzi d’espressione è più marcato e evidente. E ti parlo anche da un punto di vista lavorativo naturalmente. Ci sono persone che lavorano in ambito videoludico che si avventurano in campo cinematografico e viceversa. Molto più che in passato. Più che altro trovo interessante constatare come alcuni dei videogame di maggior successo commerciale siano basati su un’attenta ricostruzione
scenografica, della storia, dei personaggi, con un’art direction realmente cinematografica. Cosa che li rende simili a un lungometraggio nei termini della loro pianificazione.

Nel 2011 ho intervistato Matt Reeves in occasione dell’uscita del remake di Let Me In. Oltre a essere una persona davvero squisita, credo che sia davvero un filmmaker sopraffino: basti pensare a quello che ha fatto con Apes Revolution – Il Pianeta delle Scimmie ora e con Cloverfield qualche anno fa. Che puoi dirmi dell’interazione con lui durante la lavorazione del lungometraggio?

Matt è un regista grandioso e fra lui e noi del reparto effetti speciali c’è stato un feedback costante. Questo film, in particolare, aveva una necessità: l’integrazione in maniera strettissima gli effetti speciali, la post-produzione con la produzione della pellicola. La comunicazione e la collaborazione fra i dipartimenti dovevano essere continue. Pensa solo alle macchine da presa per il motion capture, con tutti i loro settaggi e calibrazioni. Per noi era vitale interfacciarci con i set decorator e tutti gli altri dipartimenti quindi posso davvero parlare di lavoro di squadra a tutto tondo. Ma nello specifico, Matt è davvero fantastico, ha una visione molto chiara e lucida del mezzo cinematografico e di quello che vuole ottenere da un suo film. E’ capace di regolarsi appieno con il apes revolutiontono emotivo che vuole raggiungere con la storia e i personaggi, cosa che è stata di grande ispirazione anche per noi che lavoravamo ai VFX. Non volevamo essere un limite per lo storytelling, ma offrirgli tutti i mezzi possibili per ottenere quello che voleva con la storia.

L’Alba del Pianeta delle Scimmie era visivamente straordinario, ma Apes Revolution – Il Pianeta delle Scimmie lascia davvero senza fiato. Qual è stata la sfida maggiore data dalla lavorazione del film?

Diciamo che ogni volta che devi sviluppare un personaggio in CG hai già a che fare con una sfida intrinseca di per sé, ma per questo film in particolare c’era ancor più la necessità di far percepire Cesare e Koba come personaggi reali, credibili. Senza di questo sarebbe crollato l’intero castello narrativo e emotivo. Quindi dare forma a tutte le sfumature espressive di un personaggio del genere, diciamo che potrebbe essere qualcosa di complicato da ottenere.

Qual è stata la scena più difficile da realizzare? Magari quella a San Francisco con Koba che s’impadronisce del tank realizzata senza soluzione di continuità?

Quella è stata complicatissima, ma in termini più generali direi la battaglia finale sulla torre. E’ un passaggio completamente in CG in cui, anche dal punto di vista della transizione cromatica dalla notte al riverbero dell’alba. Una scelta come questa si ripercuite anche sulle singole inquadrature che devono tener conto di ciò. Avere tutti questi elementi in CG all’interno di un unico ambiente è già complicato, se poi ci aggiungi anche la sfida data dalla luce che cambia, abbiamo un livello di difficoltà ulteriore. Per renderlo credibile agli occhi del pubblico devi operare un lavoro certosino su ogni più piccolo dettaglio.

Parlami di Andy Serkis.

Andy è una persona fantastica. E’ grandioso, brillante in quello che fa, un attore sopraffino con un know how incredibile in materia di motion e performance capture. Ma se non fosse stato un interprete così valido, non avremmo ottenuto un risultato finale così invidiabile. Noi abbiamo fatto un gran lavoro, ma non c’è paragone con quello che lui riesce a dare a Cesare. La CG non servirebbe a nulla senza la credibilità data da Andy Serkis al personaggio.

So che non puoi dirmi nulla di specifico, ma cosa possiamo aspettarci dal terzo capitolo? Un nuovo passo in avanti dal punto di vista visivo?

Assolutamente sì. Vedi, ogni volta che terminiamo un film possiamo riprendere in esame quello che abbiamo fatto, esaminare quello che andava bene, quello che magari potevamo fare meglio perché magari non avevamo avuto abbastanza tempo. E’ quello che è avvenuto fra il primo e il secondo episodio e che riaccadrà nuovamente fra il secondo e il terzo. Il margine di miglioramento, la possibilità di rendere sempre più performante la tecnologia al servizio di Matt Reevs per dargli modo di ottenere quello che ritiene adatto al suo film. E’ questo che c’interessa.

 

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