7 psicopatici, la recensione

Spiazzante, unico e soprendente, Martin McDonagh torna dopo In Bruges con un'altra tragedia comica, capace di mischiare tutte le carte per arrivare a furia di risate a nuove consapevolezze.

Critico e giornalista cinematografico


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Chi ha visto In Bruges non se l'è più dimenticato.

Il primo lungometraggio di Martin McDonagh, benchè fosse una produzione di nicchia (nonostante un cast composto da gente come Colin Farrell, Ralph Fiennes e Brendan Gleeson), si è imposto all'attenzione di tutti per la maniera particolare con la quale raccontava un universo tragicomico, in cui tragedia e commedia convivono negli stessi istanti, continuamente.
Scrittore e regista, McDonagh sembra più il primo che il secondo, proprio per questa capacità di inventare script dalla mescolanza precisa, che senza la facile scappatoia del grottesco (l'artificio che muta sempre in comico il tragico), cercano di riportare la comicità alla sua più nobile missione, grazie alla collaborazione con il tragico: interpretare il mondo.

Anche 7 psicopatici è su questa linea, ma va ancora più avanti con le intenzioni nel momento in cui si prefigge di mescolare anche realtà e finzione. Come spesso accade alle storie di sceneggiatori che stanno scrivendo un film, anche in questa la trama in lavorazione anticipa o segue quella che realmente accade al protagonista. 7 psicopatici è il titolo dello script cui lavora Colin Farrell e sempre di più quel che ha scritto diventa realtà e quel che gli accade è pronto per andare a finire nella sceneggiatura.
In questo turbine di opposizioni logiche e di contrari (vero/finto, comico/tragico, leggero/pesante) si perde l'orientamento dopo poco (basti dire che i 7 psicopatici sono presentati uno dopo l'altro nel corso del film ma alcuni sono veri e altri stanno nella sceneggiatura del protagonista) e il film diventa, come già In Bruges, la peregrinazione di un disperato in un luogo ameno, cioè il deserto, da parte di 3 personaggi memorabili (tra i quali Sam Rockwell e Christopher Walken rubano la scena).

Nonostante quindi 7 psicopatici alla fine non abbia la forza, la chiarezza d'intenti e la determinazione di In Bruges, pur mantenendo una visione di mondo e una volontà di mostrare e raccontare storie e personaggi in maniera inedita, rimane indubitabilmente uno dei migliori film della stagione. Perchè anche al netto dei suoi difetti, e ancora una volta, Martin McDonagh riesce lo stesso nel corso del film, con un crescendo di sorprese spiazzanti, a portare ogni singolo spettatore in una zona di se stesso mai esplorata. E' quella parte che, per l'appunto, mescola il massimo dell'empatia e della pietà con il massimo del disprezzo ridicolo e del distacco umoristico, una combinazione di sensazioni particolare e stimolante, capace di generare idee, pensieri e consapevolezze nuove.

Una vera opera d'arte.

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