Cristiada, la recensione
Lungo, lento, largo e mai davvero epico come desidererebbe. Cristiada ha tutta la propaganda che si può immaginare senza un po' di narrazione a sostenerla
In questo film fiume che non scorre impetuoso come si addice a simili produzioni ma si ferma ogni dieci minuti per inseguire dialoghi ad altissimo tasso di melassa, tutto sembra procedere indisturbato verso la grande tesi di fondo, una sorta di fatalismo cristiano in cui la provvidenza regola le vite di ognuno verso un giusto martirio. Morire per la giusta causa, morire con onore, morire urlando "Viva cristo".
Eppure, nonostante i suoi intenti dichiarati, Cristiada poteva lo stesso essere la grande cavalcata che desidera, un misto tra il western della redenzione sociale e il cinema di rivendicazione dei propri diritti, ispirare e appassionare proiettando figure mitiche (nasce così il generale di Andy Garcia). Poteva insomma essere cinema d'altri tempi al servizio di propaganda d'altri tempi per ideologie d'altri tempi, e anche il tentativo di dipingere buoni e cattivi con i toni del cinema italiano di genere anni '70 è abbastanza evidente nell'espressionismo della recitazione e dell'illuminazione (più il personaggio siede in alto nella scala gerarchica della sua fazione più la sua enfasi è calcata), invece Dean Wright si limita alla superficie, sfrutta gli elementi più evidenti ma quando è il momento non li usa.Così Cristiada rimane un lunghissimo trailer, un accenno di qualcosa che non arriva mai, una lunga serie di scene madri affiancate senza che ne sia mai costruito il senso. Piacerà a chi desidera molto vedere ritratta la propria filosofia di vita, meno a tutti gli altri che vorrebbero un buon film. Per nulla a chi cerca cinema d'altri tempi.