La recensione di Holy Spider, dal concorso di Cannes

Se Ali Abbasi si sforza tanto di convincere gli spettatori di stare guardando una detective story portata avanti da una giornalista intrepida, aderendo così tanto al suo genere da far pensare che Holy Spider sia un film ben eseguito ma che calca una struttura predefinita con poche variazioni, è solo per poi spiazzare quando scavalca al di là del genere e sconfina in qualcosa di diverso che intrattiene un rapporto complicatissimo e molto intellettuale con la realtà. Perché in questa storia di una donna che cerca un serial killer di prostitute in una città iraniana nella quale la polizia indaga con molta molta tranquillità, visto che quel lavoro di “pulizia” in fondo non dispiace a nessuno, ha chiaramente una prospettiva di denuncia, fin dall’inizio. Solo che non è la denuncia che pensiamo.

La giornalista iraniana che arriva in questa città che non conosce per indagare sembra venire da un altro paese, ha un’altra mentalità. In un mondo...