La recensione di Memory Box, in uscita il 14 aprile al cinema

C’è un meccanismo elementare alla base di Memory Box, il passaggio di memoria tra donne della medesima famiglia. Arriva un pacco nella casa benestante dei protagonisti a Montreal e genera il panico, viene dal loro passato, dal Libano e porta un nome che non si può pronunciare. La più giovane che non sa niente e quindi non capisce il panico fa domande, vuole sapere e finisce a curiosare dove non dovrebbe scoprendo un mare di ricordi, diari, foto, audiocassette registrate che provengono dagli anni ‘80 di sua madre, quando aveva la sua età e viveva nel Libano in guerra ma amava, voleva scappare e tutto quello che si conviene a dei teenager. Il film è il racconto dello svelamento nel presente tra figlia, mamma e nonna e dei segreti nel passato in flashback.

Il cuore del film è la sua ricostruzione e questa non è niente meno che pazzesca. Con gradualità siamo condotti in un mondo che sembra animato da un emulo di Michel Gondry