La recensione di Running With The Devil, il documentario su Netflix dal 24 agosto

Se davvero esiste un manuale etico, professionale e deontologico del documentarista è probabile che Running With The Devil infranga ogni regola. Succube sotto i piedi del suo soggetto, affascinato, spaventato, protagonista e poi quasi comprimario di questa storia, la mente e gli occhi dietro alle immagini incredibili delle fughe di John McAfee, lungo il film si rivela una delle persone peggiori a cui affidare questo compito. Almeno tanto quanto Charlie Russell che poi da quelle immagini ha tratto questo documentario. Un disastro che passa di mano in mano e nel quale l’unica cosa ravvisabile, nelle pieghe delle immagini e del montaggio dozzinale, è la mente di McAfee.

E dire che era difficile fallire. Perché nel momento in cui il fondatore della società di antivirus che porta il suo nome (da tempo abbandonata sia quella che il mondo dell’imprenditoria informatica) viene indagato per omicidio del suo vicino nel Belize è lui stesso a convocare la troupe all’epoca al soldo della testata Vice, per seguirlo e documentare le sue disavventure miliardarie, legali e internazionali. Le immagini che vengono girate stando appresso a lui per anni in giro per il mondo e in fuga da tipi diversi di polizia, sono incredibili. O meglio: sono molto credibili ma del tipo sensazionale, donne giovanissime, droga, armi, arresti, polemiche, tribunali, fughe in barca, sconfinamenti senza passaporto ecc. ecc. Una lunga lista di deliri e avventure in fuga non si capisce sempre bene da cosa, che se qualcosa la affermano è la follia ricchissima di un uomo che voleva fare di sé il soggetto di un documentario. E questo doppio binario (la vita in fuga da una parte e il dubbio che sia tutto falso dall’altra) dovrebbe fare scintille. Invece…

A rendersene conto e a saper gestire questo materiale poteva uscire un documentario davvero interessante sull’identità attraverso i media, sul mondo della rappresentazione del sé e su un uomo che pretende di fare reverse engineering (cioè la pratica informatica che consiste nel capire come sia fatto un software a partire dal programma fatto e finito e non dalla sua costruzione) della macchina filmica, per diventare autore da che è il soggetto. Non si capirà mai bene quanto McAfee abbia mentito e quanto no, quanto fosse perseguitato e quanto no, quando delirasse e quanto no, ma di fatto crea l’avventura davanti all’obiettivo  come un artista della fuga nel senso stretto del termine. Un artista della fuga dal niente.

Invece Running From The Devil è un documentario la cui storia è spiegata malissimo, privo di un vero punto di vista e con immagini e montaggio di qualità televisiva dozzinale. Uno in cui, per dire, sulla frase “Un giorno accadde qualcosa al suo vicino” viene montata un’immagine totalmente decontestualizzata di McAfee con un coltellaccio in mano, proveniente da un altro luogo e tempo, giusto per sovrapporre un’immagine potenzialmente violenta ad una frase che non dice niente ma che in quel modo insinua vigliaccamente un’idea. Tecniche cinematografiche truffaldine e, cosa ben peggiore, da notiziario scandalistico americano più che da cinema.

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