Terra di Siena: La settima onda, la recensione
Con una base simile al cinema italiano della liberazione ma una realizzazione più che altro favolistica, La settima onda amalgama male i suoi ingredienti
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È un film che parte da presupposti molto semplici La settima onda: uno scenario umile, un personaggio in difficoltà economiche e un obiettivo semplice che pare irraggiungibile. La base è quella del cinema della liberazione, la determinazione nel ritrarre la lotta di un individuo contro la società che non gli consente di sopravvivere. Andando a guardare da vicino però le cose stanno molto diversamente. Il pescatore interpretato da Francesco Montanari, che vorrebbe aprire una pescheria ma è schiacciato dai debiti, non è vessato dalla società ma più causa del proprio male, la sua storia d'amore con una moglie silenziosa e problematica (l'opposto della suocera piena di lamentele) pare un fardello più che una salvezza e infine la società intorno a lui non è indifferente ma partecipe. Proprio dagli amici e dalle conoscenze arriverà infatti un barlume di salvezza.
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La settima onda prende insomma subito i contorni della favola, ovvero del racconto nel quale le molte difficoltà e la loro risoluzione finale (improvvisa, fortuita e quasi provvidenziale) servono più che altro a tracciare una morale. Il pescatore che era pieno di guai, al limite della sopravvivenza, che molto ha peccato pescando di frodo e inseguendo il benessere con ogni mezzo, incontra un grande regista italiano ormai ritiratosi e con lui stabilisce una relazione a partire dal cinema (di cui anch'egli è grande appassionato). Alto e basso si incontrano su un terreno comune e in un certo senso si salvano a vicenda.
Forse è proprio in questa amalgama tra istanze sociali, realtà provinciale e insperati afflati favolistici che La settima onda non trova la sua strada. L'operazione non brilla per fattura tecnica nè per scrittura ma è chiaro che dovrebbe trovare un senso nella sincerità dello spunto e nell'onestà del contorno, componenti che sono però spesso e volentieri messe in crisi dall'intento favolistico, dal buonismo salvifico e dalla costante impressione che, qualsiasi cosa accada, qualsiasi cosa i personaggi facciano, nulla potrà andare mai male per loro, che non c'è nella loro vita un finale tragico dietro l'angolo ma una redenzione per le loro pene anche senza pentimento.