The Silent Man, la recensione
Attutito in ogni componente The Silent Man è un film non riuscito, confuso e appesantito da una missione didattica
Tutt’altra cosa purtroppo è la sceneggiatura che mescola malissimo gli ingredienti fondamentali e prende la decisione che meno sarebbe lecito aspettarsi. Basandosi sul libro co-scritto dallo stesso protagonista (che nel 2005 è venuto allo scoperto), Peter Landesman scrive un thriller senza suspense e un dramma in cui non sentiamo mai il dramma. Forse, con il senno di poi, non era l’idea migliore affidare qualcosa di così sofisticato e da giocarsi sul confine sottile tra legale e illegale, morale e amorale, personale e pubblico (Felt ha agito più per vendetta o per etica?) al regista di Zona d’Ombra e scrittore di La Regola Del Gioco.
In un lento crollo tutto in The Silent Man si sfalda. A partire dalla scansione di fatti ed eventi, sempre più difficile da sostenere se non si è già edotti dei fatti, non semplice da seguire e mai davvero scorrevole, per continuare con la recitazione, decente inizialmente, ma subito così ripetitiva e giocata sempre sugli stessi toni, le stesse espressioni e le continue ripetizioni dei medesimi sospiri da essere in breve dannosa, fino infine ai comprimari, mai approfonditi eppure portatori di momenti assurdamente e incomprensibilmente intensi.The Silent Man, il cui titolo italiano appartiene alla categoria degli adattamenti che sostituiscono un titolo in inglese (Mark Felt: The Man Who Brought Down the White House) con uno diverso ma ugualmente inglese, è più vicino alla mascherata che al film in costume, più simile al tv movie di vecchia generazione per come è diretto e intenso. Somiglia a tratti addirittura alle riduzioni televisive italiane per come pretende che dare un peso ad una storia significhi appesantire la recitazione, infarcire i dialoghi di dettagli e rifuggire ogni forma di intrattenimento.