John Krasinski ha detto spesso che A Quiet Place 2 va inteso più come una “parte due” che come un sequel. Differenza sottile, ma che implica una stretta continuità tra questo e il primo capitolo. Una missione non semplice da portare a termine considerando che A Quiet Place fu una sorpresa su più fronti. Ha fatto scalpore il rapporto tra incasso e budget speso. Ha stupito la mano sicura e l’originalità della storia. Ma soprattutto il film riportò in auge il cinema high concept. Quello basato su un’idea forte che si poteva raccontare in poco agli investitori e dal grande impatto commerciale.

Alieni che ascoltano e uccidono. Uomini che sopravvivono in silenzio.

Un “pitch fatale”, impossibile non innamorarsene per i produttori e per il pubblico. Come tutte le idee così puntuali e specifiche è anche però un fuoco d’artificio che esplode presto e fatica a ritrovare lo stesso effetto sorpresa. Impossibile da replicare sembrando nuovo, difficile da superare. A Quiet Place 2 riesce a scavalcare diversi ostacoli (tra cui la morte del protagonista) e il fatto di essere una storia molto intima, scritta per i figli. Ha una ragion d’essere e dà l’effetto di essere pianificato già da tempo.

Lo fa mantenendo lo stesso concept, ma prendendo un’altra fetta di quel mondo. Si salva con molta furbizia e con una grande abilità nella messa in scena. Alcune cose addirittura funzionano più della parte uno. Altre, prevedibilmente, molto meno.

Il prologo va di diritto a ricoprire il posto di miglior sequenza della saga. Si torna al giorno uno, dove tutto è iniziato. Risolve brillantemente la domanda che ha ingombrato tutto A Quiet Place (come sono arrivati?) e lo fa usando al meglio il denaro a disposizione (chiaramente più consistente rispetto al primo). Sfrutta di sponda il fatto di sapere già cosa succederà dopo, e riesce a non perdere di tensione. Lee Abbott ha un grande intuito (un po’ risibile); capisce subito che le creature ascoltano molto più di quanto vedano. Ditino in sù indica a tutti di stare zitti e scappa per riunirsi all’amata famiglia.

Nulla di esorbitante su carta (arriva un meteorite dal cielo, si scatena il caos, si scappa nelle strade), ma una bomba atomica di spettacolarità che travolge i fortunati che assisteranno al cinema. La fotografia di Polly Morgan ottenuta tramite l’uso congiunto di 35mm, in alcune scene, e digitale ha una grana da pellicola d’altri tempi. La luce brilla sulle superfici di un arancio tetro. Il “rumore” che sporca l’immagine suggerisce l’arrivo imminente di un pericolo. Le ombre sono grezze, quasi tangibili.

Quando scoppia l’apocalisse Krasinski inchioda la cinepresa ai personaggi. La tensione che riesce a creare è altissima anche grazie a un paesaggio sonoro immersivo. Ma l’intuizione principale è di fare jump scare tanto con gli alieni quanto con le persone che corrono all’impazzata o le macchine che sbucano all’improvviso. E poi c’è l’inquadratura incredibile nel veicolo di Evelyn (Emily Blunt). Sta accelerando sfrecciando via dai mostri e tra le macchine. Noi siamo idealmente seduti come passeggeri. Ad un certo punto inchioda, ingrana la retro e si gira a vedere la strada. Si svolgono due drammi contemporanemente: il primo è il terrore nel suo volto, il secondo è l’autobus davanti a lei che sta per schiacciare la macchina procedendo senza guidatore e con un alieno sopra. Indimenticabile.

Anche A Quiet Place aveva un buon prologo, ma non così teso. Riusciva però a mantenere maggiormente la tensione anche nella parte centrale, dove invece la parte II perde di ispirazione. Nel primo capitolo c’era un maggiore senso di consequenzialità negli eventi. Ora la sceneggiatura si trova impigliata nel rifugio sicuro in cui si sono trovati i personaggi (il nascondiglio di Emmett). Deve forzare un po’ la mano per sbloccarli e rimetterli in moto nel mondo. È il problema di tutti i film zombie\apocalittici\di fuga: perché uscire da un posto sicuro? Per esigenze narrative…

Se invece il finale del primo A Quiet Place appariva come un arguto espediente risolutivo poco costruito, la scena di chiusura del nuovo film recupera tutta la potenza del prologo. Un montaggio parallelo tra i due nuovi eroi della storia: i bambini. Prima c’erano i genitori disposti a morire per proteggerli, ora sono loro a dar luce alla speranza. Un momento di enfasi assoluta che arriva nel momento giusto come culmine di un lungo crescendo di ansia, poi tramutata in voglia di vittoria. 

Cillian Murphy A Quiet Place II

Ci sono alcune intuizioni interessanti in A Quiet Place 2 che però non vengono sufficientemente sviluppate. Krasinski le lancia come una suggestione, ma per lo più le lascia in sospeso. L’errore è che queste diventano centrali senza avere avuto la giusta costruzione. Come ad esempio le figure degli umani disperati, con gli occhi iniettati di sangue e con metodi a dir poco brutali. Catturano Emmett, sembra che vogliano attirare le creature, ma il loro piano non è chiaro. Difficile credere che siano sopravvissuti quasi 500 giorni con questa strategia a dir poco rischiosa. La risposta sul perché siano così è poi lasciata alla singola fantasia, come succedeva nel primo film. Lì però era tutto meno radicale e più plausibile. Non c’era rabbia ma disperazione nelle persone.

Sacrificatissimo anche il personaggio di Djimon Hounsou. Introdotto con un colpo di scena che potenzialmente avrebbe cambiato la saga per il terzo capitolo, non ha il tempo per esprimersi e costruire l’interesse attorno alla sua figura. La dipartita è rapida e (per noi che guardiamo) indolore. Peccato, un passaggio troppo zoppicante che ricorda un certo cinema anni ’90 dove i personaggi secondari erano solo carne da macello. Funziona invece Emmett, ottimo sostituto maschile che ha mille strati di complessità nel volto di Cillian Murphy. Ha una fisicità fragile, ma anche sovrastante. Sembra sempre pronto a scattare e a discendere nella follia. Invece resta sul ciglio. L’ennesima ottima prova in un ruolo ambiguo!

A Quiet Place 2 non riesce a toccare le vette del primo capitolo, ma ritrova una formula vincente che appare ancora fresca soprattuto nell’inizio e nella fine. Sconta qualche ingenuità di troppo in fase di sceneggiatura nella parte centrale, ma riesce ad affascinare allo stesso modo con i giochi sonori e con alcune sequenze di pura adrenalina. Forse è meglio non abusare troppo la “squadra vincente”, ma ancora la saga sembra avere molto da dire. In silenzio, ovviamente.

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