A ben guardare al cinema e in televisione i supereroi “canonici” hanno avuto molto da dire, ma per pochissimo tempo. Quell’idea di cavalieri della giustizia, persone rette senza macchia, o che comunque erano in grado di superare le proprie debolezze, è sembrata dopo l’11 settembre una sciocchezza infantile. In un mondo più complesso, in cui anche le superpotenze potevano essere ferite al cuore, chi è dotato di poteri ha l’obbligo di stare con la gente comune e di “lavorare” per loro. Un contributo fondamentale a questo passaggio logico e mentale venne proprio dagli albi pubblicati come reazione alla distruzione delle Torri Gemelle. L’Uomo Ragno tra le macerie, che piange i morti e aiuta a salvare i vivi, è una delle immagini più importanti del fumetto moderno.

I supereroi al cinema e in televisione sono inoltre arrivati al loro successo quando la decostruzione delle coordinate del genere operata da Watchmen (molto prima fumetto, solo dopo film) era da decenni un fatto che non poteva essere ignorato. Non è un caso infatti che l’omonimo film di Zack Snyder sia arrivato con cinque-sei anni di anticipo, prima che il pubblico iniziasse a chiedere a gran voce quel tipo di storie. Nel 2009 il film era una scheggia impazzita, qualcosa di incoerente rispetto a ciò che i supereroi comunicavano. Oggi, invece, sarebbe perfettamente parte del discorso.

Articolo realizzato in collaborazione con SkyI confini sono saltati. Serie come The Falcon and the Winter Soldier distruggono i simboli senza nascondere la tentazione di aderire a un pessimismo esistenziale. Le origin story dei “buoni” spesso sembrano quelle dei villain, come in WandaVision. Inutile sottolineare quanto l’epica snyderiana di Zack Snyder’s Justice League conti molto per la sua riuscita sul senso di imminente sconfitta che aleggia sul team in difesa della Terra. Batman è vecchio e stanco, Superman esplora il suo lato oscuro, Wonder Woman addirittura in una scena appare spaventata (non è semplice trovare altri momenti di terrore dei protagonisti in questo genere di film). Persino la versione in bianco e nero comunica questa assenza di speranza. Come accade in Avengers: Infinity War e nel successivo Avengers: Endgame, se i giusti possono essere sconfitti, e addirittura morire, allora tutto può accadere.

Quando il cinema e la tv dei supereroi hanno scoperto questo relativismo delle azioni, che possono essere buone per me, ma negative per qualcun altro, c’è stato un salto di qualità innegabile. Trovando il lato oscuro (che non per forza significa “adulto”) gli sceneggiatori si sono liberati da tanti vincoli ideologici e spesso anche morali.

deadpool

Deadpool è scorrettissimo e piace proprio per questo. Non sarà semplice inserirlo nell’Universo Cinematografico Marvel proprio per via di questa sua distanza da tutto. È come un distacco critico, uno sguardo lontano ed esterno che solo Wade Wilson possiede. Lui ha visto i film ambientati nella sua realtà! Rompe la quarta parete, è consapevole di essere in una finzione. E allora la distrugge, diventa irriverente, fa come un bambino con un disegno in bianco e nero: lo colora a suo piacimento, spesso rovinandolo o, per lo meno, dissacrandolo. Ed è questo il bello.

I villain sono spesso votati all’annichilimento delle forme di esistenza. Eppure sono anche espressione di una vitalità senza eguali. Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn è entrambe le cose. Solare, giocoso, pieno di energia, il film si tuffa però nei bassifondi e ci porta a empatizzare con la rabbia e la follia fuori controllo. Più che un gioco intellettuale, Birds of Prey è uno sfogo. Tutti (quasi) sono stati lasciati da un ragazzo o ragazza almeno una volta nella vita. Tutti (quasi) hanno provato la morsa allo stomaco che ha Harley Quinn nella scena di apertura. E per tutto il film lei fa quello che le persone “in lutto” vorrebbero fare, ma che non possono, salvo rischiare la galera o la morte. È qui tutto il gusto frizzante dell’opera di Cathy Yan che lo rende un unicum, forse troppo squilibrato, ma sicuramente un tentativo di cambiare il modo in cui vogliamo bene a queste figure. Non più con la testa, nemmeno con il cuore, ma visceralmente “di pancia”.

Se poi l’eroe condivide l’equilibrio mentale dei villain e incontra il denaro, la fama e il capitalismo… ecco The Boys. Una prospettiva cinica, sul mondo moderno in cui i principali attori operano nell’immoralità pur detenendo stretti codici di condotta. Una serie arrivata nel momento giusto, con il pubblico pronto ad accoglierla, e una delle tappe più importanti nel viaggio dark dei supereroi. Cade la stabilità psichica dell’eroe classico, quello ben radicato nei valori, il “giusto” per eccellenza.

Per incarnare l’ideale di purezza era necessario che a indossare il costume fosse un self-made man (o woman), scevro da influenze esterne. In The Boys invece i protettori della terra sono fabbricati in serie, sono l’oggetto di qualcun altro.

the boys

Un po’ come la storia di Wolverine, che in Logan incontra il proprio Doppelgänger: una versione più giovane ed efficiente. Il corpo del mutante con gli artigli ha sempre avuto una connotazione funzionale. È costruito per uno scopo. Le sue ossa, i suoi muscoli, i tessuti che si rigenerano, sono un mezzo per compiere le missioni. Wolverine non ha identità. Nel film egli può trovare la libertà dai condizionamenti di chi l’ha creato solamente sconfiggendo l’idea di sé come macchina al servizio di qualcuno… o con la morte, la fine delle funzioni. Logan è uno dei punti più drammatici mai toccati dai cinecomic proprio grazie a questa sua riflessione. Una chiusura perfetta per il personaggio, ma anche un punto di riferimento imprescindibile per chi vorrà immergere i supereroi nell’oscurità dell’esistenza.

La statua di marmo con cui per anni abbiamo ritratto queste figure esemplari si sta quindi sgretolando e in queste crepe si è creato un sottogenere. Se lo spazio, il cosmo infinito, sono ancora la patria ideale della fantasia, gli autori sono scesi nelle strade per trovare il realismo. Daredevil, The Punisher, ma anche Jessica Jones, Luke Cage e in parte Iron Fist sono drammi urbani. I “super” sono depotenziati. Poco più di normali esseri umani, i loro poteri non sempre bastano. Visivamente sono serie crepuscolari, sporcate dall’umidità che esce dai tombini; si svolgono nei vicoli e nelle case. Sono “la cronaca”, le pagine centrali dei quotidiani, non certo la prima, vistosa e appariscente, ma il dramma raccontato nelle inchieste.

Le città tornano protagoniste, come accade in Gotham, generano la loro storia. Sono i palazzi, gli edifici, le leggende metropolitane, a scrivere il destino delle proprie comunità. Succede la stessa cosa anche nella serie ambientata nel mondo di Watchmen, scritta da Damon Lindelof, dove un fatto come il reale massacro razziale di Tulsa innesca la finzione scenica. Questa fusione tra ciò che è accaduto e ciò che succede nella fantasia della serie acuisce il peso drammatico dei fatti mostrati e aggiunge una dimensione di significato a ciò che vediamo.

Il lato oscuro dei supereroi non è per forza violento, esplicito, grafico. È una dimensione mentale. È un modo di guardare alla vita con cinismo, è la sfiducia nella società e spesso pure la consapevolezza dell’incapacità del singolo. Sarebbe sbagliato però vedere questa tendenza come uno stravolgimento. È invece un logico proseguimento di un discorso iniziato molti anni fa.

Il rischio è di perdere la semplicità con cui si parlava alle nuove generazioni, l’entusiasmo che sapevano trasmettere le immagini sognanti di uomini con il mantello che attraversano il cielo veloci come aerei. Però il cinecomic ha guadagnato il coraggio di andare oltre se stesso. Ha ottenuto le parole e le strutture grammaticali per superare il semplice spettacolo visivo e cercare di dire qualcosa che conti veramente per chi si mette in ascolto di queste nuove mitologie.

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