Io, Caligola fu disconosciuto da quasi tutti coloro che vi parteciparono. Ne prese le distanze Gore Vidal, che scrisse la sceneggiatura inizialmente per farla girare a Roberto Rossellini. Fu poi un altro Rossellini ad adottarla: Franco, il nipote, che coinvolse il produttore Bob Guccione, noto editore di Penthouse.

I malumori iniziarono sul set, con gli scontri con il regista Tinto Brass, di cui Vidal non nutriva particolare stima. Al primo non piaceva la sceneggiatura, che mirava ad essere uno studio realistico sull’Impero Romano. Al secondo non piaceva il regista, e si premurava di farlo sapere anche nelle interviste. 

Brass, dal canto suo, cercava di sistemare le cose che non funzionavano della sceneggiatura mentre girava, improvvisando sequenze con Malcolm McDowell (che interpreta Caligola), e riscrivendo parti che facessero da giuntura tra le varie scene. Contemporaneamente era tirato per la giacchetta anche da Guccione, che voleva rientrare nel budget puntando tutto sull’erotismo più estremo. Delle tre persone che volevano fare tre film diversi ne uscì vincitore solo il produttore. Girò apposta delle scene pornografiche da inserire nel montaggio da cui il regista era stato estromesso. Il cut finale, ovviamente, venne più volte tagliato dalla censura che fece nascere tre versioni di diversa intensità. Quella maggiormente alleggerita dal contenuto erotico è più breve di ben 50 minuti. 

Che cos’è Io, Caligola?

Io, Caligola è così un film inclassificabile. Non è semplicemente erotico, perché molte scene presentano sesso non simulato. Non è nemmeno pornografico, perché togliendo tutte le inquadrature fatte per eccitare, resta ancora un racconto completo, con sviluppo, tematiche, e dialoghi necessari al senso stesso della visione. 

Come spesso accade alle opere ferite da una produzione travagliata, il risultato finale è però incostante. La sexsploitation (lo sfruttamento dello scandalo come attrazione del pubblico) è piatta come sguardo. Il sesso è ripreso come un gesto meccanico e disincarnato. La discesa nella follia e la paranoia dell’Imperatore sono solo una scusa per mostrare estremi. Tutti gli estremi, non solamente a quello erotico. Andando oltre i giudizi di merito infatti Io, Caligola emerge come uno dei più scioccanti esempi di incontro tra il cinema “alto” e il “basso”. L’orrore danza con l’eros. La storia si mischia con la finzione.

Il cast principale è composto da attori di stampo classico. McDowell, reduce da Arancia Meccanica, è un Caligola da brividi (chi meglio di lui, con quegli occhi sgranati e quel fisico asciutto e nervoso può raccontare la follia con il corpo?). Al suo fianco addirittura Peter O’Toole che interpreta l’Imperatore Tiberio, mentre Helen Mirren è Cesonia e Teresa Ann Savoy ereditò il ruolo di Drusilla da Maria Schneider. Il premio Oscar Danilo Donati (collaboratore di Zeffirelli e di Fellini) si occupò della direzione artistica.

Le scenografie magnificenti da peplum all’italiana fanno di Io, Caligola un film di stampo teatrale. Tutto è in interni, addirittura le scenografie si muovono come macchinari per infliggere piaceri e torture. Pornotopia in piena regola, cioè il modo in cui l’architettura comunica la sensualità e si offre come strumento di espressione corporea. Una produzione così curata che non avrebbe senso in un film fatto solo per destare scandalo e passare nei circuiti a luci rosse. Invece proprio grazie a questa schizofrenia tra grandi attori che vogliono fare un dramma storico, e Tinto Brass che fallisce nel tenere a freno l’exploitation di Guccione, ne esce un qualcosa di unico.

Uno scandalo anche dell’orrore

Si vede di tutto, ovviamente nella versione non censurata: stupri etero e omosessuali, necrofilia, incesto, teratofilia, orge, sesso orale e penetrazione. Questo è l’estremo erotico. Dall’altra parte c’è però un’esplorazione orrorifica ben più efficace. Se infatti le perversioni messe in scena, oggi non destano più scandalo, perché private dalle emozioni che a queste conseguono, l’altro polo del binomio Amore-Morte riesce ancora ad essere scioccante. C’è una enorme macchina che si muove e “ara” le teste degli oppositori dell’imperatore, sepolti vivi nella terra. La morte inflitta ai soldati è di bere fino a svenire per poi essere sbudellati riversando i liquidi sul pavimento. 

Io, Caligola

In mezzo a tutto questo c’è la storia dell’ascesa e del declino dell’imperatore folle. La paranoia di un giovane che vuole solo godere del potere acquisito, che finge conquiste solo per il divertimento di vedere uomini nudi affaticarsi.  

Si può essere originali mostrando una castrazione? In Io, Caligola l’evirazione corrisponde al taglio del fallo in due, non in uno. Una parte per darla ai cani, l’altra alla donna come gioco. Come dirà poi Helen Mirren, che considera il film un “irresistibile mix di arte e genitali”, oggi questa visione della storia è diventata mainstream. Non c’è grande differenza tra quello che si vede in quest’opera pluricensurata e nel popolarissimo Il trono di spade al giorno d’oggi.

È cambiata la sensibilità rispetto ai contenuti licenziosi, eppure il processo di creazione dei film in costume sembra avere assorbito la visione della storia di Vidal, Brass, Guiccione. Nella fantascienza c’è pochissimo sesso. Nella storia un’infinità. È come se i registi tornando indietro trovassero un momento primordiale, in cui l’irrazionalità delle passioni guidava i meccanismi del potere. Matrimoni (combinati e politici), eredi, tradimenti, e voglia di conquista sono ciò che porta avanti la storia.

Io, Caligola è una critica politica a imperi e religioni

Per questo Io, Caligola mostra la morte e la nascita (addirittura è stato filmato un -finto- parto “esplicito”), la violenza e il desiderio, come lo stesso meccanismo di mantenimento del potere. È qui l’ importante accusa politica, non lontana dalla visione pasoliniana di Salò: la penetrazione sessuale è inquadrata allo stesso modo delle coltellate inflitte dall’Imperatore o, sul finale, rivolte a Caligola stesso. È un meccanismo incontrollabile che però è anche un regolatore naturale. Sono questi due elementi a governare il potere e a guidarlo nelle sue azioni mantenendolo sul trono. 

Manca solo un aspetto in questo affresco del dominio, cioè la religione. Il secondo potere sulle civiltà, che si esprime nell’estasi. Il corpo pronto alla riproduzione è come un oggetto sacro dopo una cerimonia. Le orge sono riti fatti in onore del Dio-Imperatore, che può disporre a piacimento dei corpi dei sottoposti. Per questo motivo il film si apre con la scritta “che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima”. Se questa citazione del Vangelo di Marco fosse stata posta alla fine di questa opera estrema, avrebbe culminato ancora di più il suo valore dissacrante. O magari avrebbe legittimato ancora di più un’operazione intellettuale condotta con il linguaggio delle passioni.

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