Jean Marc Vallée, il regista che amava gli attori

C’è stato un momento a cavallo degli anni 2010 in cui il Quebec sembrava il luogo più fecondo per il cinema. Sfornava registi interessanti e anche quando non si trattava di grandi autori sfornava prototipi da esportazione e remake (come il caso Starbuck). Anni dopo Denys Arcand, uno dei primi a sfondare nel cinema mondiale a partire dal Quebec, quello era il momento in cui i festival di cinema prendevano molto volentieri qualsiasi film uscisse da quel paese. I nomi più importanti che guidavano quella fuoriuscita, finendo a Hollywood (chi aveva inclinazioni commerciali) e nei festival europei (chi ne aveva di più autoriali) erano Xavier Dolan, Denis Villeneuve e Jean-Marc Vallée, che dei tre era senza dubbio quello con una sensibilità più spiccatamente commerciale e hollywoodiana.

Gli ci sono voluti tre film (e come si conviene ai cineasti di quella generazione prima ancora una serie di corti) per arrivare a poter girare C.R.A.Z.Y., opera perfetta per farsi notare a Los Angeles, tarata su archi narrativi, schemi e personaggi da Hollywood che non era solo uno showcase ottimo della capacità di Vallée di lavorare sull’immagine con una maestria superiore alla media, ma anche della sua caratteristica principale come regista: la direzione degli attori.

C.R.A.Z.Y. è il biglietto da visita dei biglietti da visita con cui, come tutti i neo arrivati ad Hollywood, ricomincia la gavetta dei film piccoli, fino ad incrociare due attori che, per ragioni diverse in quel momento avevano bisogno di un film che mettesse in luce le loro capacità. E chi meglio di lui?

Dallas Buyers Club è stato il punto più alto della seconda vita in sala di Matthew McConaughey (Killer Joe fu il film che annunciò al mondo il nuovo corso; quello il film che l’ha sancito con l’Oscar) e dall’altra parte che ha definitivamente messo Jared Leto sul podio degli attori di prima fila (per quanto ancora non in grado di reggere un film unicamente sulle sue spalle). Loro hanno vinto gli Oscar ma è stato Vallée a sbancare perché se c’è una cosa che tutti notano ad Hollywood è un regista che sa lavorare con gli attori. E lo nota bene Reese Witherspoon, attrice con il pallino degli affari che aveva chiuso una società di produzione da poco (Type A) con cui aveva prodotto tra gli altri i film della serie Una bionda in carriera, e ne aveva aperta un’altra (Pacific Standard, poi confluita in Hello Sunshine) con cui vuole creare film e serie dal taglio femminile. E chi chiama?

Wild per il cinema e poi il grandissimo successo di Big Little Lies consacrano tutti e tre (Whiterspoon, Vallée e Hello Sunshine), e soprattutto aprono a Vallée le porte della televisione, destinazione perfetta per chi come lui lavora così tanto sulla recitazione. Oltre alle due mini serie di Big Little Lies infatti Vallée (senza Hello Sunshine) creerà e concepirà quella che forse è una tra le miniserie più sofisticate, interessanti e clamorose degli anni ‘10, Sharp Objects (dal romanzo Sulla pelle di Gillian Flynn), con il talento di quel momento, Amy Adams.

Quello, nel 2018 (assieme alla seconda stagione di Big Little Lies dell’anno dopo) è l’ultimo progetto di Vallée, regista mestierante di lusso, artigianissimo con un gran gusto e una capacità intuitiva invidiabili in quanto a storie. Se Hollywood è il luogo in cui sopravvive solo chi conosce il gusto del pubblico ed è capace di anticiparlo il tanto che basta per incrociarlo prima che lo incroci qualcun altro, Vallée era quel cineasta lì. Come tutti i franco-canadesi alla conquista del cinema mondiale incrociava una formazione Nordamericana con uno spirito europeo per le storie da raccontare e come farlo; usi e costumi vicini agli Stati Uniti ma poi una sensibilità che sembra venire da oltreoceano. In parole povere il regista responsabile di quella che forse è la scena di apertura di una serie migliore da quando la serialità è entrata nella sua Golden Age.

https://www.youtube.com/watch?v=GMi11rurhcQ

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