Jurassic World - Il dominio rompe i confini di una saga che ha bisogno di limiti

Jurassic Park è un film pieno di confini. Jurassic World è una saga nata per romperli. Così facendo ha reso meno emozionante l'attrazione

Condividi

Jurassic Park è un film pieno di confini. Il più evidente è quello del parco che divide l’esterno dallo spazio popolato dai dinosauri. Lì dentro ci sono recinti individuali delle creature. Quando questi si aprono o quando Alan Grant e Ellie Sattler li superano è un bel problema! A un livello più astratto la sceneggiatura di Michael Crichton e David Koepp parla di confini etici della scienza. Ci sono possibilità tecniche che non per forza devono trasformarsi in azione, come quella di riportare in vita le creature giurassiche. C’è una linea che separa la ricerca per il progresso e quella per il profitto, la stessa che divide la natura dagli uomini. Tutto questo avviene su un’isola. Jurassic World - Il dominio rompe tutti questi confini a partire dalla sua ambientazione: tutto il pianeta. Una scala globale che fa molto male al film.

L’impressione è che la produzione avesse capito già un minuto dopo la fine di Jurassic World - Il regno distrutto di J. A. Bayona che i confini servono. I dinosauri si liberano dal parco, e la cosa aprirebbe nuovi scenari. Jurassic World - Il dominio non ignora questo fatto, ma torna un po’ indietro su questa strada o, per lo meno, non abbraccia appieno il suo pieno potenziale. Le creature sono libere in tutto il mondo, ma alla fine il grosso si è fermato nei parchi nazionali. La loro presenza è un fattore di turbamento per l’equilibrio della terra (un tema ecologico spinto dentro a forza e declinato con troppa retorica), ma non ci è dato vedere più di tanto l’effetto sulle città. La scala globale è comunque ridotta rispetto a quello che poteva essere.

Dove inizia e dove vuole finire Jurassic World - Il dominio?

Il primo Jurassic World (2015) si svolgeva anche lui in uno spazio limitato. Grossomodo funzionava. Era pur sempre un emulo sbiadito di un capolavoro, ma il suo adattamento moderno era affascinante. Si parlava di cinema, parchi a temi e spettacolo. Si arrivava, grazie ai recinti ben precisi anche della narrazione, a fare un commento del panorama dell’intrattenimento “ad ogni costo” che oggi è ancora attualissimo, se non di più. 

Il dominio invece si perde proprio quando può giocare libero con tutto lo spazio che gli è dato a disposizione e pure con personaggi che non hanno limiti: la quattordicenne Maisie Lockwood è stata clonata e ha pure il DNA corretto di qualche difetto genetico. Owen Grady riesce a catturare i dinosauri al lazo e li calma con la solita imposizione delle mani. Se prima appariva come il gesto di un regista che cercava di comandare i suoi attori, ora è più “magia Jedi”.

C’è pure una megacorporation chiamata Biosyn, ma che si potrebbe chiamare anche Apple. Il suo capo Lewis Dodgson è una versione leggermente meno posata di Tim Cook. Il centro di ricerca potrebbe benissimo essere stato progettato da Norman Foster imitando l’Apple Park. Nel frattempo locuste giganti devastano le piantagioni. I telegiornali si chiedono: da dove vengono? Come è possibile tutto questo? Un altro confine narrativo ignorato: ci sono dinosauri liberi in ogni angolo, la gente non dovrebbe porsi certe domande. 

Ritorni illustri che danno molto poco

Colin Trevorrow di fronte a un foglio bianco in cui può far succedere di tutto (la guerra per la sopravvivenza che sarebbe stata logica?) fa l’esatto opposto e si rinchiude in una nostalgia molto artificiale. Il ritorno di Grant, Sattler, Malcolm e il loro incontro con gli omologhi moderni ha poco di guadagnato, molto di preparato a tavolino. I vecchi parlano con i nuovi a due a due, uomini con uomini, donne con donne, come se fosse un incontro tra presente e passato alla pari. Dimostra invece l’esatto contrario: Jurassic World - Il dominio è un film che per trovare una propria personalità ha bisogno di un passato nel cui confronto perde malamente.

C’è il T-Rex che passa di fronte a una fontana circolare ricreando il logo della saga. Ellie si toglie li occhiali di fronte a un campo devastato con lo stesso gesto di quando ha visto per la prima volta i brachiosauri vivi (ma perché?). Grant continua a fare il paleontologo e combattere un po’ con se stesso. Malcolm sfrutta il suo fascino (impostato nel primo film) per imporsi come una sorta di professore-ricercatore-influencer. Nulla di questo vale veramente, perché l’omaggio è vuoto e meccanico. Sa di imitazione. Ne condivide le immagini, mai lo spirito. 

Così si arriva nel terzo atto in cui sette personaggi si nascondono contemporaneamente dal dinosauro che li insegue. Sette! Tutti molto noti e, si pensa, amati dal pubblico. Ma il cinema non funziona un tanto al chilo. Ne bastava uno ben scritto.

I limiti di Jurassic Park erano anche realizzativi (e non erano un male)

L’impressione è che ora sia diventato troppo facile realizzare i dinosauri. Gli effetti speciali digitali sono molto comodi e, se usati bene, hanno anche un grande effetto. Però Steven Spielberg un po’ per necessità, un po’ per sapienza, si era imposto il limite della sottrazione. I dinosauri si sentono in quasi tutte le scene (come tema o come presenza) pur apparendo in poche inquadrature. Come insegna Lo Squalo non bisogna vedere un personaggio per percepirlo presente. Jurassic Park fu rivoluzionario anche per come andava oltre questo limite riuscendo a mostrare qualcosa di mai visto prima. Quando arrivavano sullo schermo i dinosauri tutta la costruzione della scena si inchinava a loro e li omaggiava. C’era un regista che non vedeva l’ora di permettere al pubblico uno sguardo. In quel momento tutto diventava credibile.

Jurassic World dà così per scontato che i dinosauri si possano vedere che si permette anche di lasciarli ai margini delle inquadrature. Inutile fare omaggi al film del 1992 quando nella versione 2023 si mostrano le creature meravigliose… senza meravigliarsi. Persi i confini del parco nemmeno gli umani all’interno del film si stupiscono più quando vedono un colosso che cammina tra di loro. Perché allora dovrebbe farlo lo spettatore?

Persino gli animatronici del nuovo film valgono poco. Non è mai stato quello il punto. Gli effetti speciali non sono più validi se sono pratici. Lo sono se per tutto il film sono coerenti e credibili. Il continuo salto tra reale scattoso e inespressivo con l’impalpabile fluidità del digitale appiattisce ulteriormente il senso di meraviglia di un film che vuole replicare la magia del passato e non ha ben capito come farlo.

È questo il grande problema di Jurassic World - Il dominio e di almeno 2/3 della saga di Jurassic World: aver provato a fare ciò che Spielberg aveva fatto all’incirca trent’anni prima guadagnando la libertà delle tecniche di oggi. Fare di più, con maggiore libertà, andando dovunque si desideri. Il segreto stava invece nell’avere dei limiti da poter superare.

Il segreto di un film che ha segnato il cinema per sempre è sempre stato il parco, mai il mondo.

BadTaste è anche su TikTok, seguiteci!

Continua a leggere su BadTaste