Ogni volta che un classico della storia del cinema viene ripreso e reinterpretato da un autore moderno e contemporaneo, il paragone tra le due opere diventa inevitabile, e molto spesso – a torto o a ragione – poco lusinghiero per chi viene dopo. Il caso di La fiera delle illusioni, uscito nel 1947 a un anno dalla pubblicazione dell’omonimo romanzo di William Lindsay Gresham, è quindi una rara eccezione. Perché non importa quanto il film sia riconosciuto come una gemma del noir e una delle migliori interpretazioni della carriera di Tyrone Power (il padre di Romina), la versione di Guillermo del Toro, appena uscita al cinema, avrà sempre un vantaggio impossibile da recuperare per l’originale: è a colori.

Potreste immediatamente contestare quest’affermazione facendo notare come La fiera delle illusioni sia un noir e dunque benefici a priori del b/n. Non avreste del tutto torto: la storia del Grande Stanton, e delle sue avventure-che-diventano-disavventure nel mondo del circo e poi dello spettacolo di classe, è anche una faccenda di chiaroscuri, di innocenza contro malizia, ambientata in un mondo dove gli uomini hanno tutti un folto casco di capelli neri e le donne sono tutte bionde di vario genere (c’è la bionda innocente, la bionda più adulta e navigata, la femme fatale…), e il bicromatismo accentua le contrapposizioni ed esplicita le metafore.

 

Psico

 

Il punto però è un altro, e cioè che La fiera delle illusioni è ambientata nel mondo dello spettacolo. Del circo innanzitutto, o della fiera itinerante se preferite visto che di animali non se ne vedono. È un film di palcoscenici e giochi di luce, di costumi vistosi e pettinature altrettanto estreme; di set decoratissimi e ricchi di dettagli, che in un film a colori salterebbero ancora di più fuori dallo schermo, e contribuirebbero ad arricchire l’immagine. Lo stesso si potrebbe dire della seconda parte del film, che abbandona i dietro le quinte della fiera per portare il nostro protagonista su palchi più eleganti, e gli fa fare la conoscenza della più classica delle bionde da noir – Lilith Ritter, che nel film di Del Toro è interpretata da Cate Blanchett e che in quello di Edmund Goulding da Helen Walker, ex brava ragazza da commedia perbene che usò questo film per ricostruirsi l’immagine dopo che un tremendo incidente, per la quale venne anche accusata di omicidio colposo, aveva quasi ucciso lei e la sua carriera.

Nel momento in cui Lilith Ritter entra in scena, La fiera delle illusioni si sposta in ambienti più asettici e ordinati, ma sempre di lusso; e se lo studio della psicologa funziona benissimo anche in bianco e nero, le scene in cui Stanton mette in scena il suo spettacolo per la Chicago bene potrebbero “uscire” ancora di più con una spruzzata di colore, un po’ come succedeva nel Mago di Oz per capirci.

 

Il grande Stanton

 

Ovviamente tutto quanto abbiamo scritto fino ad adesso potrebbe essere facilmente catalogato come “menata”, o “riflessione oziosa basata sul nulla”. La fiera delle illusioni è girato in bianco e nero in un momento in cui la maggior parte dei film ancora si giravano in bianco e nero, ed è girato da una persona che aveva diretto il suo primo lungometraggio nel 1925, e che probabilmente non vedeva l’assenza del colore come un handicap, o la sua potenziale presenza come un’opportunità. Vi basta guardare le foto che accompagnano questo pezzo per capire che a Goulding di colori ne bastano due: lo stesso Power è vestito per tutto il film esclusivamente di bianco e/o di nero, e lo stesso vale per Walker; fa eccezione solo la povera Molly (Coleen Gray, protagonista quasi dieci anni dopo del terzo film di Kubrick, Rapina a mano armata), quasi sempre inguainata in costumi chiaramente coloratissimi – se dovessimo indovinare diremmo rossi – e quasi fuori posto, a rimarcare la sua estraneità a tutta la faccenda e il suo status di vittima innocente.

Per quel che riguarda la faccenda in sé, avrete notato che per ora non ne abbiamo quasi accennato: è vero che La fiera delle illusioni è un film di quasi sessant’anni fa, ma non è il più noto tra i noir e più in generale non ha mai ottenuto la fama che si merita; e in più ora quella stessa storia è al cinema, raccontata da Guillermo del Toro: non vorremmo rovinarvi la sorpresa prima che abbiate la possibilità di scoprirla. Vi basti sapere che se vedrete il film di del Toro e lo apprezzerete, la probabilità che vi piaccia anche questa versione del 1947 è altissima, molto vicina al 100%. Anche perché è un film insolitamente cinico e crudele per quegli anni, un film che sembra volerci dire almeno due cose terribili: che sotto sotto siamo tutti mostri, e che il karma, in una qualche sua forma beffarda, esiste, e sfuggirgli è impossibile.

 

La fiera delle illusioni gino e gina

 

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