Oscar 2022: nessuna sorpresa nei premi principali, nessun guizzo, forse il prossimo cambiamento è altrove

Nonostante sappiamo che gli Oscar sono ormai un’altra cosa, che sono diventati una manifestazione che premia film diversi e valorizza film che prima non avrebbero avuto spazio, ha vinto I segni del cuore – C.O.D.A., il massimo della restaurazione con un twist ottimo per l’epoca della rappresentatività totale, un segno in continuità con quello di qualche anno fa di Green Book. Il cinema che racconta la disabilità è infatti da sempre tenuto in grande considerazione dall’Academy. Anna dei miracoli fruttò due Oscar (Anne Bancroft, protagonista, e Patty Duke, non protagonista) già nel 1963, Rain Man ne fruttò ben 4 (i più importanti) e già Figli di un dio minore nel 1986 ne aveva fruttato uno a Marlee Matlin, attrice realmente sorda.

Così adesso nel 2022 I segni del cuore conferma e prolunga questa tradizione (così tanto che Marlee Matlin è parte del cast), battendo il western-non-western autorialissimo (e anche più difficile come film) Il potere del cane di Jane Campion (che si consola con miglior regia) e il film autobiografico ruffiano Belfast (che sìiconsola con miglior sceneggiatura originale). In questo senso I segni del cuore è la perfetta descrizione dei mutamenti di questi anni. Un film indipendente che parte dal Sundance, dove ha trovato sia la distribuzione su Apple Tv+ che diversi premi, luogo da cui tradizionalmente non si va a finire agli Oscar ma che è il simbolo maggiore del cinema indipendente, quello sì da 20 anni la colonna vertebrale degli Oscar. Ma non solo, anche un film in cui i non udenti sono interpretati da non udenti, cavalcando una delle tendenze che sembrano più forti in questo momento, cioè che la rappresentazione di minoranze specifiche sia sempre affidata ad attori che appartengono a quelle minoranze. E infine un remake, cioè il cinema internazionale che continua ad essere cruciale agli Oscar.

Oscar 2022: Belfast, il vero sconfitto

Il vero sconfitto in questo senso, più che Il potere del cane, la cui vittoria sarebbe stata tanto inusuale quanto quella di Nomadland l’anno scorso, è Belfast. Quello di Kenneth Branagh sarebbe stato davvero il film della restaurazione, o meglio un ponte tra la situazione presente e il passato degli Oscar. Un grande affresco di un periodo storico importante per il mondo anglosassone (la guerra civile nordirlandese), un film con uno smaccato desiderio di acchiappare il pubblico, farlo ridere e commuovere con frequente alternanza, i grandi caratteristi nelle parti dei nonni, una grandissima attrice e poi il bambino in prima fila. Tutto con la firma del nome sicuro: Kenneth Branagh. Tra gli anni ‘70 e 2000 questa è stata una delle molte ricette buone per i premi. A questo si aggiunge elementi più moderni come il bianco e nero o il traino autobiografico che hanno  funzionato così bene per Roma di Cuaron. Era quello, sulla carta, il film della restaurazione e invece I segni del cuore si è dimostrato un porto più sicuro ancora e Belfast si è  accontentato di rubare il premio per la miglior sceneggiatura a Licorice Pizza, accrescendo il credito dell’Academy nei confronti di Paul Thomas Anderson che si spera un giorno verrà saldato con gli interessi.

Ad ogni modo nella serata in cui nulla di strano è avvenuto (almeno nei premi) anche gli attori protagonisti sono stati premiati puntando sul sicuro. Era la scelta più scontata quella di Will Smith e Jessica Chastain, entrambi lì grazie ad interpretazioni di persone realmente esistite, realizzate attraverso la mimesi e non l’astrazione. Jessica Chastain, truccatissima per un personaggio che proprio del trucco aveva fatto un segno distintivo, e Will Smith, in un film calcato sul modello di La ricerca della felicità, in cui non ha ripetuto l’errore di rimanere se stesso, aveva la postura e la parlata di Richard Williams.

È allora forse il caso di guardare a Dune per cercare di intuire (sperare?) un cambiamento. Il cinema grandissimo, a budget molto grandi, che adatta, rifà, segue e crea franchise è ancora in attesa della legittimazione dell’Academy. Domina al box office da venti anni e con l’esclusione dei premi a Il ritorno del re, che premiavano la trilogia di Il signore degli anelli, non ha mai ricevuto una vera investitura. Adesso Dune (che non è la fantascienza autoriale di Interstellar o Gravity ma un progetto in due parti con possibilità di allargamento dell’universo narrativo anche al di là di Villeneuve) sbanca e si afferma come il vincitore della serata per quanto solo grazie alle categorie tecniche. Se fosse la porta per far entrare quel tipo di cinema anche nella gara per le categorie artistiche potremmo essere di fronte ad una soluzione a molti dei problemi di popolarità dei premi e un cambio di rotta del cinema di grandissimo incasso, che sarebbe molto più incline a produrre i blockbuster d’autore.

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