Più passa il tempo e più Ralph Spaccatutto appare come è veramente. Dieci anni fa sembrava un divertente collage di citazioni. Un prodotto molto contemporaneo e metacinematografico che rubava sia dall’animazione più classica che dal mondo dei videogiochi. La diversità era il centro tematico ma contavano più le comparse che quello che facevano veramente. Erano divertenti le easter egg e si comprava il biglietto con la curiosità di capire quanto si sarebbe riusciti a citare. Praticamente un esercizio di potere degli avvocati sui diritti di sfruttamento. Il sequel, in questo sfoggio di accordi, è ancora più grande e ambizioso.

Oggi Ralph Spaccatutto è stato superato da tantissime altre opere citazioniste. Non c’è partita per quantità di strizzate d’occhio di fronte a Cip e Ciop agenti speciali o Space Jam: New Legends. All’epoca sembrava avanguardia pura, oggi è uno dei punti di inizio di un’esplorazione delle forme del racconto durata proprio un decennio. Chiuso il clamore per qualche personaggio visto sullo sfondo e per qualche nome sparato nei dialoghi (“sono Lara Croft!”), il film di Rich Moore sembra un passante trasandato con un cartello: “la fine è vicina!”. 

Ralph Spaccatutto fa i conti con la fine. Ma la fine di cosa?

Ralph è l’antagonista di un videogioco dedicato a Felix aggiustatutto. Uno distrugge il palazzo, l’altro deve rimettere insieme i pezzi. Protagonista e antagonista. Non vecchi ma vintage. Sono un cabinato dentro a una sala videogiochi incredibilmente ancora frequentata. Quando non vengono usati, i personaggi hanno una vita propria come in Toy Story. Se il gioco viene scollegato, si innesca un processo di annichilamento che lascia senza casa (o intrappolati in essa) gli abitanti del posto. Si può passare da un videogioco all’altro tramite cavi elettrici, ma questo crea scompensi nell’equilibrio dei programmi. Rompe la normalità. Rende impossibile giocare e spacca le regole del divertimento.

Il film fa l’opposto. Va nella direzione proibita: quella dell’ibridazione. Attraversa i cavi e si trova al centro del groviglio. Quella che sembra una scelta anarchica e originale da parte degli sceneggiatori, contro il sistema (come farà due anni dopo The Lego Movie), è invece il segno di una resa. Lo dicono tra le righe anche i personaggi mentre festeggiano i 30 anni della piattaforma. Sono felici di aver fatto bene il loro lavoro, sempre uguale, ma stanno invecchiando. Sono monotoni per il nuovo pubblico. Eppure le regole che seguono alla perfezione erano proprio quelle che li rendevano innovativi tempo prima. Ci sono altre fonti di intrattenimento, tanta concorrenza, tante emozioni più coinvolgenti di un o schermo pieno di personaggi.

Un film su come gestire i personaggi e le regole della trama

Come spesso capita per i film Pixar, anche in questo classico Disney si vede in trasparenza il processo creativo e la parola degli animatori. Ralph e Felix sono il sistema vincente vecchio. Per metterla in altri termini: sono il viaggio dell’eroe, le fiabe, le narrazioni lineari, il divertimento contenuto in uno schema rigido. L’audiovisivo classico. Lo sparatutto ad alta definizione Hero’s Duty è la nuova frontiera. Open world senza limiti come le serie tv, spettacolare però come i blockbuster pieni di effetti speciali e senza storia né morale.

Ralph Spaccatutto

Ralph Spaccatutto è fatto da persone che si chiedono che ruolo possa avere il classico film per famiglie all’interno di questa rivoluzione dell’intrattenimento. Come fare per non essere schiacciati? La risposta che si sono dati Rich Moore, Jennifer Lee e Phil Johnston è all’insegna dell’ibridazione. Restare sé stessi ma prendere dentro altri mondi. Vanellope, affetta dai glitch è la vera ribelle del film. Infinitamente più interessante di Ralph è l’unica che esce dagli schemi tradizionali. Tra le prime principesse Disney a rifiutare il ruolo. Narrativamente è un manifesto a favore dell’imperfezione. Smettere di seguire le regole e prova soluzioni nuove saltando di qua e di là in maniera imprevedibile anche a lei. I suoi glitch sono simbolo dell’andare cioè a mischiare il proprio colore con altre tavolozze. Anche a costo di sporcare il disegno.

Un cinema che si sente derubato e quindi ruba

Il film fa questo discorso postmoderno con le mani alzate in segno di resa. Non si può più raccontare nulla di nuovo. I capolavori sono già stati fatti. Possiamo solo limitarci a rimescolare le carte prendendo il meglio che è già stato visto e assimilato. Non resta che un mashup creativo che è però liberatorio. Per certi versi anche profondamente dissacrante. Poche cose restano intoccabili, tutto è a disposizione e va piegato per dare luce a qualcosa di nuovo. Al pubblico piace. Come piace ai bambini che frequentano la sala giochi. 

Ralph Spaccatutto è stato come un comizio a cui molti hanno assistito annuendo. I dieci anni che sono seguiti sono stati, soprattutto per l’animazione, molto propensi ad esplorare questa nuova forma di collage.

Cosa resta di Ralph Spaccatutto?

La domanda che si poneva era giusta, la crisi era legittima e la stiamo vedendo tutt’ora con un’animazione mainstream ingabbiata nelle piattaforme streaming, incapace di diventare fenomeno culturale con la frequenza di un tempo. La risposta era sbagliata.

Paradossalmente fu proprio Jennifer Lee a dimostrarlo l’anno dopo. Frozen – Il regno di ghiaccio è estremamente più tradizionale rispetto a quello che la moda stava dettando (e detterà poi). Castelli, principesse, magia e canzoni. Con pochissimi i riferimenti all’esterno, ad altre storie, il film è un sistema chiuso come il cabinato di Ralph Spaccatutto. Contenuto tutto nella sua durata, non occorre conoscere altro per goderselo. Quello che cambia è la sensibilità con cui viene stesa la sceneggiatura, questa sì estremamente moderna.

Senza bisogno di easter egg Frozen offre una porta di ingresso alla contemporaneità tramite i suoi personaggi. Vivono in un regno lontano e arcaico ma i protagonisti con cui è possibile identificarsi pensano come se avessero vissuto e studiato tra di noi nel secondo decennio del 2000. 

C’era la paura, quando è arrivato in sala Ralph Spaccatutto (non a caso anche in una spettacolare versione 3D), che le storie avessero perso la propria attrattiva. Gli spettatori non credono più a nulla, sono consapevoli dei meccanismi emotivi, dei trucchi di sceneggiatura. Allora bisogna giocare a carte scoperte. Dire che neanche gli artisti credono più nella loro illusione e che romperla, rendere consapevoli degli ingredienti, è il modo migliore per dare qualcosa di nuovo. L’equazione era però sbagliata: a una maggior quantità di cose messe dentro non discende un maggior divertimento. 

Quello che conta sono ancora i personaggi e il loro cambiamento. Gli effetti speciali, così come le citazioni passano. La sincerità resta. Persino Ralph Spaccatutto deve avere accettato la cosa con sollievo. Nel cinema non c’è niente da spaccare, le forme narrative reggono anche quando sembrano complicarsi. Dentro di loro c’è ancora la natura più classica. Mascherata meglio, è ovvio, ma è quello il motore di tutto. E se oggi è in sala Avatar a conquistare il box office con la più tradizionale delle impostazioni narrative, è perché Ralph ha provato a spaccare qualcosa, ma non è riuscito a spaccare tutto. 

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