Bad School - Insider - Dietro La Verità, di Michael Mann

Il Bad School della settimana è Insider - Dietro La Verità, magistrale film di Michael Mann datato 1999 con più di qualcosa in comune con Zona D'Ombra con Will Smith

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Spoiler Alert

Uomini Che Sapevano Troppo

The Man Who Knew Too Much è l'articolo di Marie Brenner uscito su Vanity Fair nel maggio 1996 che ispira Michael Mann per la realizzazione di Insider - Dietro La Verità (1999). Game Brain: Football Players and Concussions è l'articolo di Jeanne Marie Laskas uscito su GQ nel settembre 2009 che ispira il libro Concussion che a sua volta viene adattato da Peter Landesman nel film Zona D'Ombra.
Gli articoli, scritti da due donne, parlano di due uomini realmente esistiti.
Due uomini che vogliono farsi chiamare Dottore (come Michel Racine vuole farsi chiamare Presidente e non Signor Giudice ne La Corte) e due uomini che rispettivamente si chiamano Jeffrey Wigand (Russell Crowe) e Bennet Omalu (Will Smith). Sono scienziati. Uno è chimico e sfiderà consapevolmente la lobby Usa del tabacco. L'altro è medico e sfiderà inconsapevolmente la lobby Usa della National Football League. Sono assai diversi se li guardi da fuori (uno yankee e l'altro africano; uno bianco e l'altro nero; uno ai limiti del familismo e l'altro ai limiti della misantropia) ma sono assai simili se li scruti da dentro: sono eroi borghesi che non solo sanno troppo ma vogliono anche dirlo in base a dei principi che guidano il loro modo di concepirsi professionalmente ed eticamente all'interno della collettività che fieramente abitano. Uno è un chimico che ha flirtato forse troppo con le corporation diventando un pagatissimo dirigente ma non al punto da mentire sulle sostanze che creano dipendenza associate alla nicotina. L'altro è un dottore che non vuole mentire riguardo i pericoli di seri danneggiamenti al cervello che rischiano i giocatori di football americano.
Entrambi subiranno le conseguenze delle loro azioni.
Nella settimana in cui esce in sala Zona D'Ombra di Landesman in cui, non a caso, si cita la lobby del tabacco in relazione alla NFL nemica del medico Omalu, ci sembrava giusto ricordare il bellissimo film di Michael Mann sulle tribolazioni del chimico/dirigente Wigand. Di fatto Insider è il fratello di Zona D'Ombra.
Un fratello maggiore.

Tutti gli uomini della Brown & Williamson

Non c'è nessuno che prova a intrufolarsi dentro il Watergate Hotel come in Tutti Gli Uomini Del Presidente (1976) all'inizio di Insider. Nei primi minuti vediamo i futuri due protagonisti montati parallelamente. Uno è un giornalista d'assalto producer per la stimatissima trasmissione CBS 60 Minutes (fondata nel 1968), mentre l'altro è un dirigente dell'azienda di tabacco Brown & Williamson. Il giornalista è gasatissimo, confortato da un sodalizio potente e pronto con il frontman di 60 Minutes a mettere in difficoltà fuori casa (Medio Oriente) uno sceicco leader Hezbollah interpretato da Cliff Curtis (il Gesù di Risorto era all'epoca lontanissimo per l'attore neozelandese specializzato  in narcotrafficanti sudamericani e terroristi musulmani). Il chimico/dirigente, invece, nonostante giochi in casa statunitense, è solo, abbandonato, ripreso in slo-mo mentre stancamente lascia gli uffici di un'azienda che l'ha appena licenziato. La camera sta addosso ai corpi enfatizzando a dismisura alcuni loro dettagli anatomici. Il regista ci fa capire subito che il film sarà epico e anche senza troni e senza spade, avremo a che fare con dei cavalieri. Con alcune macchie e con molte paure. Ma sempre cavalieri. Il fascino di Insider è, come sempre in un film di Mann, la densità visiva che si fa sottigliezza narrativa. Inoltre ci sono degli indizi circa il fatto che questo prologo iniziale verrà praticamente ribaltato alla fine del lunghissimo ma sempre avvincente film (157 minuti). Il giornalista è forte e quasi tronfio, sì, ma entra in scena bendato (quindi forse è lontano dalla verità) mentre il chimico/dirigente è debole e quasi sgraziato, sì, ma indomabile. Così motivato da aiutare immediatamente, una volta arrivato a casa dopo il licenziamento, la figlia con problemi respiratori (scena che serve a Mann per farci capire quanto sia importante per lui l'assicurazione medica familiare). Lowell Bergman (Al Pacino) è felice di lavorare per la CBS a fianco di Mike Wallace (la loro sinergia ricorda quella tra Mary Mapes e Dan Rather in Truth: Il Prezzo Della Verità di James Vanderbilt, altro recente dramma giornalistico con 60 Minutes protagonista). Jeffrey Wigand (Russell Crowe) era felice di lavorare alla Brown & Williamson prima di scoprire che da quelle parti non vigeva il capitalismo etico di James Burke, CEO della Johnson & Johnson pronto a ritirare tutti i suoi prodotti Tylenol dal mercato perché un pazzoide li aveva avvelenati. I padroni del mercato Usa del tabacco (nomignolo inquietante: I Sette Nani) usano sostanze chimiche che creano dipendenza per poi negarlo con forza al Congresso degli Stati Uniti d'America.
Jeffrey lo sa e, visto come lo hanno trattato, non vuole più tacerlo.

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Due solitudini

La pellicola è nettamente divisa in due: prima parte con Wigand in crisi (a partire dal citato inizio) e seconda parte con Bergman in crisi ancora più grossa (e uscita in slo-mo da edificio/lavoro identica a quella di Wigand). Le delusioni si incroceranno perfettamente dopo che, casualmente, Bergman entra in contatto con Wigand per una consulenza medica. Al Pacino è bravissimo a fiutare qualcosa. Lo sguardo si fa rapace e i capelli paiono rizzarsi in nuca. Quel chimico/dirigente tarchiato e pieno di tic vuole esternare. Vuole dirgli qualcosa. Ma è legato a un vincolo di riservatezza e forse... è anche molto preoccupato che qualcuno possa far del male alla sua famiglia. Qui Mann, riprendendo sempre ogni scena come se ci trovassimo in un thriller epico girato a mano (come in Strange Days c'è ancora il mago della steadicam James Muro), è bravissimo nel presentare due statunitensi agli antipodi in futuro uniti dalla disillusione: Bergman è un ex radicale allevato e allenato nientemeno che dal filosofo marxista Herbert Marcuse mentre Wigand, per cui Marcuse si potrebbe pronunciare anche Marcus (momento esilarante), è un corporate man amante del golf, familista ma con un sacro rispetto per la salute del popolo americano. Forse potrebbero anche votare rispettivamente democratico e repubblicano alle elezioni ed esternamente sembrano fisicamente un furetto (il giornalista) e un bisonte (il chimico/dirigente) ma sono entrambi fatti della stessa pasta: due player dannatamente in gamba, e onesti, del grande gioco americano. Bergman vuole Wigand intervistato dal totem CBS Mike Wallace (ottimo Christopher Plummer) dentro 60 Minutes per sbugiardare I Sette Nani circa le proprietà nocive della nicotina chimicamente rimaneggiata. Ce la farà? Wigand riceve orme di sconosciuti vicino l'orto di casa, telefonate anonime, mail di minacce e una bella pallottola nella cassetta delle lettere (la NFL di Zona D'Ombra, al confronto, vuole bene a Bennet Omalu). Quando pensi che i due ce l'abbiano fatta a superare tutto grazie all'intervista shock di Wigand dentro il programma di Bergman... ecco arrivare una seconda parte del film vera e propria mazzata per il nostro giornalista un tempo così gasato e convinto di essere, anche giustamente, un professionista innocente e combattivo. La CBS nicchia per poi rifiutare la messa in onda del faccione di Wigand, il quale ha visto anche la moglie abbandonarlo (uno dei pochi errori del film: la consorte non è mai ripresa da Mann con umanità o anche solo più curiosità; troppo "mostruosa" anche per via di un trucco facciale perennemente esibito). Improvvisamente... anche Bergman si ritrova solo. Anche Bergman sente sulla sue pelle tutto quello che ha vissuto Wigand nella prima parte di film. È il momento in cui Insider prende le distanze da Tutti Gli Uomini Del Presidente e, più pessimisticamente, presenta un giornalismo del nuovo millennio così vicino ai poteri forti da non essere più indipendente. Adesso è la volta per Bergman di disperarsi per poi scegliere, anche lui indomabile, la via cruenta: in un esaltante crescendo emotivo lo vedremo escogitare una serie di contromosse volte contemporaneamente a sputtanare la CBS (compreso il suo amico e mentore che l'ha scaricato Mike Wallace) attraverso Wall Street Journal e New York Times. "Sei un anarchico!" gli urleranno addosso in CBS e lui, per non smentirli, fa scoppiare due o tre bombe che ribaltano a suo favore la situazione.
"Hai vinto" gli dice una moglie forse anche più assente di quella di Wigand.
Oppure no?

Amarissimo Happy Ending

Giornalisti che prendono le botte (La Regola del Gioco, Truth, Una Sola Verità) e giornalisti che vincono (L'Ultima Minaccia, Tutti Gli Uomini Del Presidente, Il Caso Spotlight). Forse uno dei motivi del doloroso insuccesso di questo gran bel film è il fatto che Mann è così sofisticato da metterlo in mezzo a quei due gruppi non scegliendo una conclusione netta dal punto di vista cinematografico. Inoltre... perché non realizzare una chiusa con Wigand e Bergman insieme? Avrebbe aiutato un senso di ritrovata solidarietà tra due nordamericani apparentemente agli antipodi dopo che, ripetiamo, la coppia dell'ex radical e dell'ex corporate man aveva fatto faville in tutti i tanti momenti di affettuose litigate in cui sentivi crescere stima e affetto. Mann, invece, abbandona l'effetto positivo da strana coppia preferendo optare per una chiusa divisoria non gratificante in cui Wigand, solo, vede finalmente una delle sue due figlie riconoscerlo in tv (la famigerata intervista è finalmente in onda in versione integrale), mentre Bergman, solo, esce in slo-mo dalla CBS per non tornarci mai più. Non è un finale negativo ma, più che altro, un happy ending di lancinante amarezza. Affascinante ma anche autolesionista.

Conclusioni

Botteghino non soddisfacente (solo 60 milioni di dollari ww a fronte di un budget di 90), debacle agli Oscar del 2000 con un devastante 0 su 7 (fu l'anno di American Beauty) e Russell Crowe pronto a vincere la statuetta l'anno successivo per Il Gladiatore. Una vera e propria beffa. Il suo Jeffrey Wigand ci dimostra perché abbiamo ragione a provare nostalgia per un grande attore sempre più distaccato e pigro. All'epoca aveva 33 anni ed era ancora parecchio ambizioso. Con Mann disegna nei minimi particolari un indimenticabile personaggio sovrappeso, fuori posto, dai pantaloni più larghi del suo sorriso e in preda a mille tic mai fastidiosi. Un genio autistico apparentemente anaffettivo ma in realtà ricco di gentilezza e, soprattutto, irreprensibilità. Crowe farà un lavoro simile per A Beautiful Mind (2001) ma senza raggiungere nemmeno lontanamente gli stessi risultati raffinati. Al Pacino, dall'alto della sua intelligenza, sente che il film è totalmente di Crowe e, come noi, si mette a fissarlo come fosse un vero e proprio fenomeno (e la cosa serve, come detto, anche all'evoluzione del rapporto Bergman-Wigand).
Infine... stupenda colonna sonora con l'esordio nel cinema mainstream di Gustavo Santaolalla (che meraviglia la sua Iguazu in quel momento pre-deposizione in Mississippi di Wigand) inserito dentro un tappeto mistico e crudele firmato Lisa GerrardPieter Bourke.
A ormai quasi 20 anni dalla realizzazione di Insider - Dietro La Verità viene da chiedersi: fu l'ultima vera gemma diretta da un signore di nome Michael Mann?
È questa la verità?

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