Bad School - La Spia Che Venne Dal Freddo, di Martin Ritt

Il Bad School di questa settimana è La Spia Che Venne Dal Freddo, primo adattamento cinematografico da una spy novel firmata John Le Carré. Fu un grande successo

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Spoiler Alert

Lo Scrittore Che Venne Dallo Spionaggio

Ben prima che il suo 22esimo, e penultimo romanzo (Il Nostro Traditore Tipo), diventasse il decimo adattamento cinematografico (Il Traditore Tipo, ora in sala) dalla sua corposa bibliografia e ben prima che Gary Oldman venisse candidato come Miglior Attore Protagonista per lo Smiley dimesso e bistrattato de La Talpa (2011), l'ex spia diventata scrittore John le Carré vide la sua carriera letteralmente decollare grazie al successone di uno spy movie che avrebbe per sempre cambiato il volto degli spy movie. Il titolo era La Spia Che Venne Dal Freddo (1965), la produzione Paramount, il regista Martin Ritt, la star protagonista Richard Burton (nominato all'Oscar ma non premiato), la coprotagonista Claire Bloom mentre l'agente segreto feticcio di Le Carré George Smiley aveva il sorriso sornione, l'occhiale "kissingeriano" e i baffetti da sparviero alla Sandro Paternostro di Rupert Davies. Gary Oldman, d'altronde, nel 1965 era uno young man di soli 7 anni. Se il film in bianco e nero di Ritt non avesse trionfato al box office e penetrato a dismisura l'immaginario collettivo dell'epoca (arrivò subito la parodia di Mario Bava Le Spie Vengono Dal Semifreddo) offrendo una versione del servizio segreto più esistenzialista e pessimista rispetto alla giovane saga di James Bond... oggi non vedremmo al cinema Ewan McGregor dentro Il Traditore Tipo e ieri non avremmo visto Oldman giganteggiare ne La Talpa come quinto Smiley di sempre dopo Davies, James Mason (ma con altro nome), Alec Guinness e Denholm Elliot. Dopo questa pellicola tutti vollero adattare i precedenti due romanzi dello scrittore all'epoca trentaquattrenne che aveva prestato servizio da spia presso MI5 e MI6 dal 1958 al 1964, prima in patria e poi nella capitale della Repubblica Democratica Tedesca Bonn (dove il sosia di questo George Smiley qui - Sandro Paternostro- era, casualmente, corrispondente Rai proprio in quegli anni '60).
Dunque David John Moore Cornwell (vero nome dello scrittore inglese attualmente ottantasettenne) deve molto della sua carriera da Le Carré a questa pellicola del '65 così come questa pellicola del '65, adattata per il grande schermo dallo sceneggiatore futuro premio Oscar Paul Dehn impegnato anche dentro uno dei grandi primi Bond movie come Agente 007 - Missione Goldfinger (1964), deve molto alla visione spionistica, e del mondo, di Le Carré. Forse tutto.

Leamas

Si parte con un articolato piano sequenza di due minuti e trenta secondi dove passiamo dal filo spinato del Checkpoint Charlie di Berlino (rivisto recentemente anche ne Il Ponte Delle Spie di Spielberg) a un signore che esce da una porticina reggendo un vassoio con tre bicchieri di caffè. È come se Ritt ci dicesse subito con la sua cinepresa: "Caro spettatore, questo film seguirà una strada tortuosa (e infatti la macchina da presa, su una gru, procede da destra a sinistra ogni tanto fermandosi di colpo -cinque volte- e andando su e giù come se non conoscesse proprio bene la via)". In sottofondo il pianoforte malinconico di Sol Kaplan rafforza l'idea che non ci sarà molto da ridere nei prossimi 112 minuti o che quando qualcuno riderà... lo farà con cattiveria e senso di scherno magari perché qualcuno umilierà uno zoppo costringendolo ad alzarsi da una sedia per consegnare dei documenti che potevano essere ottenuti anche in altro modo. Quella risata cattiva apparterrà a Leamas (Richard Burton), spia verso cui è orientato quel vassoio coi caffè così poco affabile da dare le spalle a noi spettatori per quasi un minuto (grande idea) prima di brutalizzare gli agenti della Cia che lo vorrebbero vedere riposarsi. Leamas non si riposa mai. Casomai beve e aspetta. Come i poliziotti de Il Braccio Violento Della Legge (1971) di Friedkin, non c'è niente di affascinante nel mestiere.
Freddo, sigarette, caffè allungato col whiskey e frustrazione. Qualcosa va storto al Checkpoint Charlie di Berlino quella notte e Leamas viene richiamato d'urgenza in patria.
Qualcuno vuole forse rottamarlo? Oppure c'è una nuova missione in vista?
Qualcuno vuole parlargli. E il nome mette già paura.

Control

È un ometto che si ricorda quante zollette di zucchero Leamas prende con il thé e non pare per niente colpito dal fatto che il suo uomo gli vada incontro con la faccia di un condannato a morte (splendido Burton). L'Occidente ha deciso di stare sulla difensiva durante la Guerra Fredda ma questo non vuol dire che non si debba essere spietati con il nemico del Patto di Varsavia. C'è da eliminare un ex nazista che lavora coi russi (si chiama Mundt) sfruttando l'odio che nei suoi confronti prova una spia DDR ebrea (si chiama Fiedler) in teoria alleata dell'ex nazista. Leamas dovrà fare in modo di essere contattato dal nemico, reclutato come traditore, per poi provare a mettere ulteriore zizzania tra Fiedler e Mundt.

No Control

La parte più affascinante del film parte dopo che Leamas esce dal briefing di Control. Noi non sappiamo perché ma cominciamo ad assistere a una fase in cui l'uomo da due zollette di zucchero nel thé caracolla per la città, lavora in una biblioteca, non ha nemmeno i soldi per comprare la zuppa di pomodoro in drogheria, non conosce il significato di "licantropia", rivendica con forza le sue origini irlandesi, sembra possedere solo un cappotto, viene abbordato da un gay e frequenta una ragazza comunista che vorrebbe portarselo subito a letto (riuscendoci). Lui beve e beve e beve. Più che Bond... sembra un barbone. Più che Fleming... sembra Sartre. Le Carré ricorda che Burton trincava di brutto e sul serio sul set (come si sa) arrivando spesso ai ferri corti con il regista Martin Ritt. Ma da uomo di spiccata e raffinata intelligenza l'ex spia capì subito, pur non essendo un cinematografaro, che nella perdita di controllo dell'attore c'era l'idea parecchio lucida di rappresentare al meglio la truce alienazione esistenziale vissuta dal suo personaggio.
E questo sfigato sarebbe una spia? Uno che ha difficoltà a farsi fare credito in salumeria? E il gay chi è? E la single comunista che crede nella pace e soprattutto ti salta addosso (Claire Bloom)? Si potrebbe pensare che un film del 1965 di largo consumo dovesse essere più decodificabile rispetto ad oggi. E invece no. Questo segmento da poveraccio di Leamas toglie allo spettatore parecchie certezze tranne una. Forse lui sa qualcosa che noi non sappiamo.
Ovvero il contrario esatto della teoria di suspense hitchcockiana.

Operation Rolling Stone

Improvvisamente Leamas verrà prelevato e portato prima in Olanda e poi in Germania Dell'Est. Ogni spia avversaria è disprezzata dalla seguente più alta in carico. Washington e Mosca paiono amarsi di più di quanto si amino tra loro le spie dei loro rispettivi eserciti (anche Leamas aveva assaggiato lo spietato distacco di un collega britannico durante il viaggio verso il briefing di Control).
Ecco entrare in scena l'ebreo scanzonato spia DDR Fiedler (Oskar Werner sempre con un berretto in testa come in Fahrenheit 451 di Truffaut) e l'ex nazista manesco Mundt (Peter van Eyck). Tutto pare ricomporsi nella nostra testa quando raggiungiamo di corsa, non senza qualche fatica, il protagonista nella trama del film. Ora siamo al suo stesso livello di comprensione del plot (e della sua missione vezzosamente denominata da Control Operation Rolling Stone) fino a che... la single comunista amante di Londra non viene convocata a sorpresa durante un processo in cui Fiedler sta mettendo sulla graticola l'odiato Mundt.

Il calore della morte e la freddezza della vita

Quello che inorridisce Steve Rogers alias Captain America quando parla con Nick Fury in Captain America: The Winter Soldier (2014) è la parola compartimentazione. Lo capiamo. Un soldato detesta lo spionaggio. Compartimentazione è l'isolamento tra loro dei singoli elementi di un'operazione di intelligence, i quali devono essere a loro volta ignari rispetto a quello che combina il collega della porta accanto. Lo si fa perché meno persone conoscono il quadro generale... meglio è. D'altronde è in ballo la sicurezza nazionale, no? Chi è che può sapere tutto? Control per Le Carré, J. Edgar Hoover per James Ellroy, Il Vecchio di Romanzo Criminale per Giancarlo De Cataldo (ispirato a Federico Umberto D'Amato). Nello splendido crescendo de La Spia Che Venne Dal Freddo... Leamas si rende conto di stare dentro un comparto della compartimentazione. E probabilmente nemmeno il comparto più importante per non dire sicuro per la sua incolumità e quella della single comunista cui si è affezionato.
Questo lo incupisce, deprime e forse addirittura ferisce nell'orgoglio. Oppure... e se l'avesse sempre saputo o quantomeno sospettato? E se quel periodo da poveraccio a Londra fosse stato una reale fase di crisi esistenziale e non solo una posa per attirare le spie nemiche? Possiamo fidarci ciecamente che il processo di deumanizzazione cui ci sottoponiamo come spie sia realmente al servizio di uno scopo preciso, logico e geopolitico, volto all'ottenimento di quella che chiamiamo sicurezza nazionale? Se lo chiedeva Richard Burton ne La Spia Che Venne Dal Freddo nel 1965, se lo chiede Damian Lewis in Il Traditore Tipo nel 2016 mentre preferiva commentare con un "fuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuck" lunghissimo la spia tabagista Philip Seymour Hoffman in un altro bellissimo adattamento lecarreriano come La Spia del 2015.
Questo è il tocco che Le Carré ha portato dentro il genere spy con i suoi libri. Vale veramente la pena?
Questa è la domanda che Leamas pone a se stesso al termine del film.
La risposta che si darà sarà certa e, per una volta, non bisognosa di un bicchierino di whiskey.
Preferirà il calore della morte alla freddezza della vita da spia.

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