Dario Fo, muore il Re di Giullari che non andava al cinema
Ci lascia a 90 anni il Premio Nobel Dario Fo, Re dei Giullari, uomo iperbolico del '900, a casa nel suo teatro e sempre distante dal set cinematografico
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Se è vero, come è vero, che il teatro è la casa dell'attore e il cinema quella del regista... oggi ci lascia un uomo che sulle assi del palcoscenico aveva costruito la sua reggia allargando non poco i confini della drammaturgia.
Dario Fo è stato tante cose nel corso dei suoi 90 anni di età: repubblichino e poi comunista, importante promessa della Rai e poi censurato, esiliato e poi Premio Nobel, anticlericale e poi fan sfegatato di Papa Francesco I.
Il teatro era il suo regno. Dopo gli esordi in Rai conclusisi bruscamente, cominciò ad agitare le acque creando con la moglie Franca Rame, storica sua sodale artistica, un metodo che gli permettesse di mettere in scena degli spettacoli in luoghi non convenzionali rispetto al circuito ufficiale con un gruppo di collaboratori fissi.
Nasce così sempre più concretamente quell'approccio alla performance sempre più libero e linguisticamente interessante. Mistero Buffo (1969) inventa un nuovo linguaggio: il grammelot. Un misto di latino, volgare ed effetti sonori da cartone animato (se mettete un bimbo a vedere delle registrazioni di Mistero Buffo vedrete quanto riderà).
Fo diventa animale da palcoscenico libero e dominatore con i suoi dentoni, orecchie a sventola, maglioncino a collo alto (di rigore nei '70) e fisico imponente ed elastico alla Jacques Tati (i due potevano essere quasi fratelli; che bello sarebbe stato un film insieme). Non pensate che i suoi show fossero, diventato fieramente comunista e sempre più antagonista nel corso dei '70 (l'amico storico Adriano Celentano lo riportò scandalosamente in prima serata Rai a Fantastico per uno storico cammeo del dicembre 1987), dei noiosi polpettoni intrisi di ideologia.
Mistero Buffo sembra una puntata dei Simpson... serial cartoon dove Fo finirà raffigurato su un manifesto stradale. Fu Mistero Buffo quel capolavoro che trenta anni dopo, nel 1997, gli permetterà di vincere il Nobel per la Letteratura spiazzandoci un po' tutti (era in macchina con Ambra Angiolini quando seppe la notizia)?
Probabile. In quello spettacolo Fo, da solo in scena e senza scenografie, narrava furiosamente nei panni di un imprecisato giullare dalla lingua lunga alcune scene del Vangelo, attacchi al potere temporale della Chiesa dell'epoca di Papa Bonifacio VIII (vissuto tra il 1230 e 1303) e difese in tribunale a sfondo maschilista (sarà notevole il suo cammeo come Azzeccagarbugli nei Promessi Sposi televisivi messi in scena da Nocita in Rai nel 1989 durante il suo "esilio").
Cosa poteva fare, uno così, al cinema? Niente. Come Carmelo Bene. Non era contenibile su un set a meno che non avesse diretto lui stesso, come Bene, i suoi film.
Tutto ciò non accadde e quindi tranne Lo Svitato (1955) di Lizzani, dove era ancora giovane e meno convinto della sua inesorabile appartenenza teatrale, non lo vedremo mai protagonista della settima arte se non in tarda età collegato al cartoon con partecipazioni in voce al meraviglioso La Freccia Azzurra di Enzo D'Alò (1996) ed il meno esaltante Johan Padan a la Descoverta de le Americhe di Giulio Cingoli (2002).
Fu uomo iperbolico e passionale.
È stato un italiano protagonista di un secolo duro e affascinante come il '900 dove si poteva diventare comunisti dopo aver aderito, da volontario, alla Repubblica di Salò e dove, anni dopo, nelle nostre città ci si poteva ammazzare o aggredire per strada, e non sul web, per delle posizioni ideologiche, e non se eri un fan della Marvel o della DC.
A quel secolo lì apparteneva il fu Dario Fo.
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Dario Fo è stato tante cose nel corso dei suoi 90 anni di età: repubblichino e poi comunista, importante promessa della Rai e poi censurato, esiliato e poi Premio Nobel, anticlericale e poi fan sfegatato di Papa Francesco I.
Il teatro era il suo regno. Dopo gli esordi in Rai conclusisi bruscamente, cominciò ad agitare le acque creando con la moglie Franca Rame, storica sua sodale artistica, un metodo che gli permettesse di mettere in scena degli spettacoli in luoghi non convenzionali rispetto al circuito ufficiale con un gruppo di collaboratori fissi.
Nasce così sempre più concretamente quell'approccio alla performance sempre più libero e linguisticamente interessante. Mistero Buffo (1969) inventa un nuovo linguaggio: il grammelot. Un misto di latino, volgare ed effetti sonori da cartone animato (se mettete un bimbo a vedere delle registrazioni di Mistero Buffo vedrete quanto riderà).
Fo diventa animale da palcoscenico libero e dominatore con i suoi dentoni, orecchie a sventola, maglioncino a collo alto (di rigore nei '70) e fisico imponente ed elastico alla Jacques Tati (i due potevano essere quasi fratelli; che bello sarebbe stato un film insieme). Non pensate che i suoi show fossero, diventato fieramente comunista e sempre più antagonista nel corso dei '70 (l'amico storico Adriano Celentano lo riportò scandalosamente in prima serata Rai a Fantastico per uno storico cammeo del dicembre 1987), dei noiosi polpettoni intrisi di ideologia.
Mistero Buffo sembra una puntata dei Simpson... serial cartoon dove Fo finirà raffigurato su un manifesto stradale. Fu Mistero Buffo quel capolavoro che trenta anni dopo, nel 1997, gli permetterà di vincere il Nobel per la Letteratura spiazzandoci un po' tutti (era in macchina con Ambra Angiolini quando seppe la notizia)?
Probabile. In quello spettacolo Fo, da solo in scena e senza scenografie, narrava furiosamente nei panni di un imprecisato giullare dalla lingua lunga alcune scene del Vangelo, attacchi al potere temporale della Chiesa dell'epoca di Papa Bonifacio VIII (vissuto tra il 1230 e 1303) e difese in tribunale a sfondo maschilista (sarà notevole il suo cammeo come Azzeccagarbugli nei Promessi Sposi televisivi messi in scena da Nocita in Rai nel 1989 durante il suo "esilio").
Cosa poteva fare, uno così, al cinema? Niente. Come Carmelo Bene. Non era contenibile su un set a meno che non avesse diretto lui stesso, come Bene, i suoi film.
Tutto ciò non accadde e quindi tranne Lo Svitato (1955) di Lizzani, dove era ancora giovane e meno convinto della sua inesorabile appartenenza teatrale, non lo vedremo mai protagonista della settima arte se non in tarda età collegato al cartoon con partecipazioni in voce al meraviglioso La Freccia Azzurra di Enzo D'Alò (1996) ed il meno esaltante Johan Padan a la Descoverta de le Americhe di Giulio Cingoli (2002).
Fu uomo iperbolico e passionale.
È stato un italiano protagonista di un secolo duro e affascinante come il '900 dove si poteva diventare comunisti dopo aver aderito, da volontario, alla Repubblica di Salò e dove, anni dopo, nelle nostre città ci si poteva ammazzare o aggredire per strada, e non sul web, per delle posizioni ideologiche, e non se eri un fan della Marvel o della DC.
A quel secolo lì apparteneva il fu Dario Fo.