Il film indipendente del 2009?

Un'interpretazione importante, attori di peso e la distribuzione della maggiore società del settore. Ma allora perché questo titolo è passato pressoché inosservato negli USA? Si tratta di...

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Rubrica a cura di ColinMckenzie

...Adam. Per certi film, viene normale fare un paragone con altri titoli. Per Adam, mi è venuto da pensare a 500 giorni insieme. D'altronde, un tema simile (una storia d'amore complessa) e stesso produttore (la Fox Searchlight, che ha al suo attivo i maggiori successi indipendenti degli ultimi anni, come Juno e Little Miss Sunshine). Cambiano soltanto i risultati: 500 giorni insieme ha ottenuto 32 milioni di dollari nei soli Stati Uniti (58 nel mondo) ed è diventato il maggior titolo indipendente dell'anno scorso, proiettando il regista Marc Webb verso il reboot di Spider-Man.

Storia decisamente diversa per Adam, che ha raccolto a malapena due milioni in patria e di sicuro non porterà il suo realizzatore Max Mayer verso franchise miliardari. D'altronde, è anche giusto. A differenza di 500 giorni insieme (film molto carino perché tentava in tutti i modi di esserlo e ci riusciva bene), Adam è un film molto carino perché non cerca di esserlo.

Siamo di fronte a un minimalismo quasi estremo, perfettamente in linea con il protagonista, un giovane che soffre della sindrome di Asperger e che, alla morte del padre, si ritrova a doversela cavare praticamente da solo. Per fortuna, arriva una vicina sensibile di cui innamorarsi. Siamo insomma nel campo del Boy Meets Girl, solo che qui i classici problemi di coppia sono legati anche alle difficoltà di comunicazione del protagonista.

Così, ne viene fuori una storia perfettamente calibrata sul personaggio di Adam: straniante, a tratti ripetitiva, senza grandi picchi e scene madri (a parte forse una, peraltro non eccessiva). Ma almeno un paio di sequenze non si dimenticano: l'ultima con Adam al lavoro (così come quello che gli accade in seguito) e lui in tuta da astronauta (perché? Decisamente una ragione poco epica, ma molto, troppo sensibile). Così come è divertente vedere una riunione di un gruppo di intellettuali che sembra quasi la parodia di un film di Woody Allen.

Tutto questo ovviamente non reggerebbe senza un'ottima prova di Hugh Dancy, che dimostra di non essere soltanto il belloccio di I Love Shopping e Il club di Jane Austen (anche se forse è una piccola concessione al 'mercato' prendere un attore come lui), aiutato molto dalla performance di Rose Byrne (che si vorrebbe sfruttata meglio e maggiormente dal cinema americano). Anche i comprimari funzionano bene, soprattutto Frankie Faison, mentre con Peter Gallagher ormai si possono prevedere facilmente le scelte del suo personaggio (ed è un limite a cui fare attenzione).  

Al massimo, se vogliamo trovargli un difetto, la sottotrama della famiglia di Beth non funziona benissimo e su quel versante si rischia di diventare un po' patetici. Ma è da menzionare l'ottimo montaggio processo/colloquio di lavoro. E un finale intelligente, che evita di essere ruffiano o pacchiano. Soprattutto, l'impressione di vedere finalmente un prodotto indipendente che non cerca disperatamente di diventare un grande successo. Non è assolutamente un pregio da poco...

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