Protesta al red carpet di Roma: una buona idea?
Domani una parte del mondo del cinema protesterà platealmente all'inaugurazione del Festival della Capitale. Con scelte che rischiano di essere controproducenti e poco sensate...
Fonte: Varie
Non c'è dubbio che il rapporto di questo governo con la Cultura e lo spettacolo in generale sia quantomeno conflittuale. Continui tagli di spesa, l'idea che questo settore sia inutile e non una potenziale risorsa e magari dominato da 'comunisti'. Verrebbe quindi naturale appoggiare certe manifestazioni di dissenso che sono state annunciate dall'associazione dei 100 autori, tra cui quella (decisamente plateale) di occupare il red carpet del festival di Roma domani, giorno dell'inaugurazione.Peccato che i problemi e le contraddizioni siano tanti, a cominciare dai motivi della protesta. Alcuni sono indiscutibili. Penso al rinnovo del tax credit e del tax shelter, forme con cui una persona recupera un investimento sulle proprie tasse. E' ovvio che questo sistema favorisce non solo i produttori che mettono i soldi, ma anche lo Stato, che così potrà ricevere dei contributi su investimenti che altrimenti rischiano di non essere fatti. Insomma, per una volta è la Cultura che aiuta lo Stato e non il contrario. Altre questioni possono essere interessanti, come un prelievo di scopo con il quale chi utilizza il cinema e l’audiovisivo italiani reinvesta una parte dei profitti nella produzione nazionale, anche se non è chiarissimo perché si mettano insieme "televisioni generaliste e satellitari" con "provider e Telecom". Forse è il solito discorso per cui i provider devono pagare per i tanti scaricamenti illegali degli utenti? Mah...
Alcune questioni invece non andrebbero neanche poste in questo ambito. Mi riferisco alla protesta per la situazione della Casa del cinema, un importante centro a Roma dove vengono presentati molti film alla stampa e al pubblico. Le idee del comune non sembrano meravigliose (si profila quello che è stato definito un 'comitato d'affari'), ma non è il caso di mettere insieme un caso cittadino che incide su poche persone con problematiche che invece riguardano tutti gli addetti ai lavori in questo settore.Altre idee mi sembrano sbagliate, se non di un'ingenuità disarmante. Mi pare difficile vietare la 'delocalizzazione' delle produzioni televisive e cinematografiche (il caso classico è la fiction ambientata in Toscana e girata in Argentina), a meno di non voler puntare a un protezionismo impossibile da applicare. Da decenni tante importanti produzione hollywoodiane si spostano in Nuova Zelanda, Repubblica Ceca, Romania, Canada e altre nazioni estere. Piaccia o meno, non è una battaglia percorribile, se non con incentivi fiscali ovviamente graditissimi da tutti (ma non è detto che siano sufficienti). Così come non convince il "Sostegno e difesa delle sale di città, spazio privilegiato del cinema italiano". Cosa significa, fondi che dovrebbero dare ossigeno a un sistema che non può funzionare, ossia spazi che hanno costi ingenti e profitti bassi?
Ma dove finiamo quasi nell'ingenuità delle proteste studentesche (con tutto il rispetto per chi a 16 anni ha certe ambizioni legittime, ma a 60-70 un pizzico di realismo aiuterebbe a essere presi sul serio), è quando si fanno richieste come "Nascita di un mercato liberato dal monopolio di Rai e Mediaset" e soprattutto "approvazione di una legge di sistema che crei un Centro nazionale della cinematografia sganciato da qualsiasi controllo della politica". Forse non ce ne si rende conto, ma chiedere allo Stato di fare una legge (quindi, di esercitare un controllo) per non esercitare un controllo sembra uscito da un film dei fratelli Marx, fermo restando che sarebbe il primo caso italiano di non ingerenza della politica in qualche cosa.
D'altronde, che le idee siano tante ma un po' confuse e demagogiche, ce lo ricorda il regista Michele Conforti, quando dice che "il cinema e la televisione fanno paura perché raccontano l'Italia così com'è, costruendo reti di relazioni sociali, evidentemente scomode". E' il caso di ricordare a Conforti i titoli italiani di maggiore incasso degli ultimi anni: sono tutti cinepanettoni, film di Pieraccioni, Aldo, Giovanni e Giacomo e Carlo Verdone, a cui possiamo aggiungere il recente fenomeno Benvenuti al sud. Come si capisce, tutti film ultrasovversivi, a dimostrazione che, al di là di quello che fanno i governi, il pubblico punta su prodotti ben precisi senza bisogno di tagli allo spettacolo.
E poi, che idea è quella di annunciare una protesta al festival tre giorni prima? Della serie, vogliamo farci notare, ma ci ricordiamo anche che molti di noi hanno interesse che il Festival non subisca danni, quindi avvertiamo per non creare troppi disagi (solito discorso, rivoluzionari all'acqua di rose). Alla fine, sembra tutto predisposto per un mega Cafonal di Dagospia, sperando che Umberto Pizzi sia stato invitato. Peccato che così si ha più probabilità di lasciare perplessi gli investitori esteri (e il mercato romano è una realtà che, all'interno di un festival che ancora non convince, sta funzionando bene) che di creare vere preoccupazioni a Giulio Tremonti. Che magari neanche si accorgerà della protesta...