Nicolò Pellizzon continua il suo personale viaggio nella fantascienza con Haxa vol. 1: I confini del vento, brossurato che dà il via a una nuova tetralogia ambientata nel futuro, pubblicata a cadenza annuale da BAO Publishing.

Ospite della casa editrice milanese alla recente edizione di Lucca Comics & Games, abbiamo raggiunto Pellizzon per chiedergli qualche retroscena sulla creazione della sua ultima opera, ma anche per tornare a parlare di Horses, pubblicato da Canicola Edizioni.

Ringraziamo Daniela Mazza e Chiara Calderone per la disponibilità.

 

Ciao, Nicolò e benvenuto su BadComics.it!
Dopo opere personali come “Gli amari consigli” e “Horses”, ti troviamo completamente immerso in un genere a cui sei particolarmente affezionato: il fantasy. Cosa ti ha spinto a progettare qualcosa di complesso come una tetralogia?

Gli amari consigli, anteprima 01L’idea alla base di “Haxa” è abbastanza semplice: sin da bambino ho sempre creduto che i maghi, o comunque tutte le persone che fanno uso della magia, in realtà vivano tra noi ma non possiamo vederli: un concetto che viene riproposto spesso nella narrativa fantasy.

Quando ho concluso “Gli amari consigli”, per BAO Publishing [2014], ho ricevuto un’offerta da un editore francese. Volendo però continuare a lavorare con BAO, ho deciso di portare avanti progetti con entrambe le realtà editoriali, e non avendo avuto paletti o indicazioni, ho pensato che sarebbe stato bello realizzare una saga fantasy. Ho cominciato a scrivere e mi sono reso conto che l’idea era buona e che avrei potuto trarne diversi volumi. E una volta fondata questa vasta mitologia, si potrebbe arrivare anche alla creazione di alcuni spin-off.

Ho sempre amato scrivere di fantascienza e, sebbene io utilizzi registri diversi, si tratta sempre di lavori legati tra loro da questo genere.

C’è un film, una lettura o un evento in particolare che ha innescato la stesura del primo capitolo della tetralogia?   

In questo momento non mi viene in mente niente, ma quando scrivo tengo sempre presente libri come “Dune” di Frank Herbert e i romanzi di J.R.R. Tolkien. Quelli sono i miei riferimenti. “Haxa” è nato così, in maniera abbastanza naturale.

Quali sono state le principali difficoltà incontrate nel creare una mitologia così complessa e articolata come quella di “Haxa”?

Inizialmente mi sono molto preoccupato a riguardo, ero certo che mi sarei impantanato nel creare tutti gli aspetti di questo mondo immaginario. In realtà, è stato più facile di quanto mi aspettassi, mentre la parte più complicata è stata riuscire a trovare il modo giusto per introdurre i personaggi, dosare gli elementi nel modo e – soprattutto – nel momento giusto. Penso che siano problemi normali del primo libro. Quando la storia si articola in diversi volumi, devi svelare da un lato le dinamiche di un nuovo mondo e dall’altro introdurre i protagonisti della vicenda e tutti i comprimari. Solo attraverso la lettura, una volta completato il quadro generale, si riesce a cogliere il perché del loro sviluppo e di certi loro atteggiamenti.

C’è qualche cultura in particolare che ti ha offerto le basi per lo sviluppo di questa storia o che, in qualche modo, ha ispirato il tuo lavoro?

Haxa vol. 1: I confini del vento, copertina di Nicolò PellizzonHo preferito concentrarmi sul nostro quotidiano. Ho provato a immaginare a come potrebbe trasformarsi la nostra realtà nei prossimi anni, fino al 2.100, anno in cui è ambientata la mia storia. In “Haxa” ci sono persone che hanno una vita normale, persone che sono un po’ degli outsider e altri ancora che lo sono completamente; come i Goetiani, che sembrano alieni agli occhi degli umani perché non accettano il nostro tipo di società.

La coesistenza tra diversi esseri umani lascia intendere che tra le pieghe di questa saga si muova una tema importante come la diversità.

Non scrivo libri perché voglio parlare di tematiche precise, sebbene la crescita possa essere considerata un fil rouge che lega ogni mia produzione. In realtà, una tematica così importante come la diversità è toccata solo in maniera incidentale da “Haxa”. I personaggi si trovano in una condizione che li fa sentire diversi, per poi giungere a uno status quo in cui sanno per certo di esserlo e devono confrontarsi con il resto del mondo.

Ci tengo a sottolineare che il tema della diversità è sì presente, ma non nella maniera in cui lo vediamo spesso rappresentato di questi tempi: preferisco utilizzarlo per giocare con la natura delle persone. In certi media il diverso viene visto come il buono, invece potrebbe benissimo essere il cattivo della storia, magari mosso da motivazioni forti che non capiamo e che lo spingono a intraprendere percorsi poco lineari. Spesso ci diamo spiegazioni molto semplici per situazioni complesse. Ecco, mi piace spingere alla riflessione i lettori.

Nella prima parte della storia, la protagonista è travolta da un’accusa di furto. Questo tema non viene mai approfondito o affrontato in maniera chiara nel prosieguo della storia, in quanto non è nemmeno importante per l’economia generale dell’opera; all’inizio, però, il furto crea pregiudizio, tanto da influenzare il pensiero di chi legge. Dovremmo invece chiederci il perché di certi gesti, cercare di andare oltre quello che vediamo in apparenza.

Il genere da te utilizzato, il fantasy, è solo un vestito che fai indossare alla storia? Qual è il tuo obiettivo una volta che inizi a scrivere? 

Quando scrivo, il mio intento è quello di mostrare ai lettori “Come sarebbe il mondo se…”. Non ci sono messaggi nascosti. Voglio che la moltitudine di temi trattati trasformino i libri in specchi in cui tu possa ritrovare te stesso, oppure offrirti la chiave di lettura per comprendere meglio alcune cose.

Quando trovo libri che mi lanciano segnali nascosti, non li reputo delle vere e proprie opere d’arte. C’è questo grande fraintendimento, tanto nel Cinema quanto nelle opere di narrativa: l’Arte non deve essere uno strumento di propaganda.

La fantascienza di “Haxa” non è come quella di “Black Mirror”. Quella è distopia, è prendere un concetto della nostra società e portalo ai limiti estremi per dire: “Hai visto cosa succederebbe se…?”. C’è una morale, è come una fiaba. E sappiamo che quelle storie non le ritroviamo nella vita reale.

Parliamo di un altro fumetto a cui hai lavorato: “Horses”, per Canicola Edizioni. Come nasce il desiderio di raccontare la genesi della Poetessa del Rock?

Horses, copertina di Nicolò PellizzonIn “Horses” non volevo solo raccontare la vita di Patti Smith, ma più in generale quella degli artisti. Il progetto è nato nel 2015, quando ricevetti una chiamata da Canicola che mi chiedeva la disponibilità per realizzare un libro con Patti Smith. La cantautrice sarebbe stata di lì a poco a Bologna per un concerto con cui celebrare il quarantesimo anniversario del disco “Horses”. Sebbene sia io che la casa editrice fossimo restii all’idea di un libro su commissione – in questo caso per il Comune di Bologna – era talmente tanta la voglia di collaborare con Patti che ci dispiaceva non darle questa possibilità! [ride]

Ero già in fase avanzata quando, a causa di un po’ di casini, il concerto è stato annullato. A quel punto abbiamo deciso di portare comunque avanti il progetto. Il rischio era di realizzare qualcosa che fosse troppo concentrato sulla vita della cantautrice o sul disco in sé; perciò ho deciso di allargare il discorso a tutti i giovani artisti che decidono di compiere delle scelte, di comprendere quali sacrifici è necessario fare per raggiungere un obiettivo.

Un approccio lontano anni luce dalla semplice riproposizione di una serie di aneddoti storici.

Sì, infatti. Ho voluto raccontare una storia che fosse mia, legata a quando ero un ragazzino che voleva diventare un artista. Ho focalizzato la mia attenzione sul ricordo di com’era avere diciassette anni, piuttosto che concentrarmi su New York, la scena Rock e l’ambiente che gli gira intorno. Sono aspetti presenti, certo, perché sono quelli con cui ti confronti quando vuoi fare l’artista.

Ci sono aneddoti in particolare sulla vita della Smith che ti hanno colpito particolarmente?

In generale, ho tanti aneddoti ascoltati al bar dove spesso mi ritrovo a bere qualcosa. Da David Bowie, che spesso soggiornava nel Veneto sotto falso nome, a tanti altri che però non solo legati direttamente alla Smith. Ricordo però un suo concerto in cui prese il basso e strappò le corde a mani nude. Tutti la guardarono, non capendo il gesto, e lei si giustificò dicendo che è brutto spaccare le chitarre, quindi avrebbe portato via le corde!

Oppure, durante un altro concerto, un fan saltò sul parco eludendo la vigilanza della sicurezza. A un certo punto dovettero portarono giù dal palco per sottrarlo all’ira di una Smith con lo sguardo spiritato che voleva picchiarlo per averle rovinato il concerto!

Che rilevanza ha avuto la musica nella tua vita e nella tua arte?

Ascolto sempre tanta musica mentre scrivo. La sequenza centrale di “Gli amari consigli” era partita da due pezzi: uno dei Sioux and the Banshees e l’altro dei Nature and Organisation. Erano le sensazioni che mi davano le canzoni che ho voluto riportate tramite le immagini. Molte storie nascono mentre sono in treno e ascolto musica, perso nei miei pensieri. La stessa cosa avviene quando penso a un libro. È un rapporto molto meditativo quello che ho con la musica.

Per “Haxa”, invece, qual è stata la colonna sonora?

Ci sono diverse parti molto influenzate da quella che sembra essere una “scena” Retro wave. Oppure penso a musicisti come Kavinsky (alcuni suoi pezzi fanno parte della colonna sonora del film “Drive”). Ci sono molti gruppi su YouTube sotto l’etichetta NewRetroWave che seguo e che penso mi abbiano influenzato. Al momento, sto facendo un booktrailer per “Haxa” con un pezzo elettronico di Compilerbau, un musicista tedesco. Credo sia un remix di Bach. Però a me sembra una cosa di magia. 

Autoproduzioni, Canicola, BAO, Sergio Bonelli Editore… Dove ti trovi più a tuo agio?

È una domanda che mi sono posto anch’io nel recente passato. Ci sono opere che penso siano destinate a una realtà piuttosto che a un’altra. Sono io che ricerco i punti che possano stimolare tanto me quanto BAO – come nel caso del mio romanzo più recente – e funzionare meglio, alimentati vicendevolmente da me e dall’editore. A volte, invece, inizio a scrivere e a un certo punto decido di produrre il mio fumetto da solo, come ho fatto con “Abraxas” [2016].

 

Nicolò Pellizzon e Pasquale Gennarelli