Tomas Milian, da conte viscontiano a parolacciaro romano

Ci ha lasciato Tomas Milian, grande attore del '900 in grado di passare dal cinema d'autore al miglior cinema di genere italiano dei '60 e '70. Era un genio problematico

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Uno, nessuno, centomila Milian

Da "Conte Viscontiano" a "Parolacciaro Romano".
Da infanzia durissima a Cuba, con madre crudele e padre militare suicida davanti ai suoi occhi, a una fiammeggiante giovinezza romana vissuta dagli anni della Dolce Vita fino ai burrascosi '70 di sesso & eccessi.
Degno di essere paragonato a Marlon Brando secondo Gary Oldman, incensato da Oliver Stone, blandito da Michelangelo Antonioni, rifiutato da un offeso Federico Fellini, venerato da Dennis Hopper, rispettato da Orson Welles.
Un interprete serissimo del metodo. Un "rompicoglioni" secondo altri. Uno che cambiava le battute, vestiva letteralmente i suoi personaggi, contrattava con durezza le paghe e difendeva il ruolo di attore avendo imparato tutti i trucchetti usati da registi e produttori per manipolare l'arte di quegli esseri fragili che Welles chiamava "il terzo sesso", sempre pronti a giocare fuori casa quando si trovavano su un set cinematografico e non sulle assi di un palcoscenico teatrale. Tomas Milian non è stato né un uomo né tantomeno un attore qualsiasi. Forse non è stato nemmeno un essere umano bensì un "meteorite caduto a Roma" come gli ripeteva sempre il montatore di Bernardo Bertolucci ovvero il geniale Franco "Kim" Arcalli.

La Notte Brava Del Soldato Tomas

"Dal punto di vista del mio personaggio, era la storia di un borghese corrotto che, insieme a due amici borghesi e corrotti come lui, incontrava dei ragazzi di borgata e li invitava a casa sua. In una scena ero sdraiato su un divano con Jean-Claude Brialy, che interpretava uno dei borgatari, e Bolognini mi disse che dovevo offrirgli dei soldi. Misi la mano in tasca e, guardando Brialy negli occhi, aprii la camicia accarezzandomi il petto con le banconote. Bolognini disperato urlò: 'Tomas... è troppo, è troppo... la censura... è troppo!'".
Ma Tomas Milian insistette e visto che veniva doppiato (cosa per lui inconcepibile avendo fatto l'Actor's Studio di Lee Strasberg a New York) protestò a tal punto con Bolognini ("Se non ti va bene, dovresti prendere un altro") da convincerlo a tenere quel gesto osceno con le banconote, difendendo, almeno, la recitazione fisica visto che la sua voce in quel film del 1959 sarebbe stata di Cesare Barbetti.
Che ironia. Il film di Bolognini che lancia la carriera cinematografica di un attore cubano arrivato venticinquenne in Italia con cinque dollari in tasca dopo l'infanzia caraibica e la giovinezza newyorchese (l'aneddoto virgolettato in prima persona è tratto dal bellissimo Monnezza Amore Mio di Tomas Milian e Manlio Gomarasca, Rizzoli, 2014) porta in sé già il problema e la soluzione di tutta la sua filmografia.
Colui che sarebbe stato definito The Cuban Hamlet, sarebbe anche diventato un'icona del cinema italiano di genere senza usare spesso la sua vera voce ma con doppiatori sopraffini come Ferruccio Amendola.
Esploso con il cinema intellettuale di Bolognini e Visconti, messo sotto contratto da Franco Cristaldi della Vides nel 1960 con un mensile di cinque anni a 250 mila lire al mese, frequentatore dell'aristocrazia romana, re del small talk alle cene con i nobili, l'esotico smandrappato (come amava chiamarsi) che viveva sulle scalinate di Piazza di Spagna autodefinitosi con un giornalista del New York Times "bisessuale" già nel 1959... sarebbe stato salvato dallo spaghetti western.

Cavallo pazzo

Nonostante si fosse rotto il braccio in tre punti da piccolo cadendo da cavallo, eccolo nel deserto dell'Almeria per The Bounty Killer (1966) nei panni di José Gómez. È il secondo film svolta dopo La Notte Brava (1959) di Bolognini. Addio film per la critica, meglio lanciarsi nel cinema popolare. Ma attenzione: Milian non è comunista, è un cubano sui generis, parla male di Fidel Castro e riceve un bel: "Cubano di merda!" dal "compagno" di lavoro Gian Maria Volontè che lo accusa di essere un imperialista sul set di Faccia A Faccia (1967) di Sergio Sollima. Per cui questo rapporto viscerale con il cinema di genere... è un rapporto anche di autocritica.
Quando recita con Orson Welles (voluto da lui) sul set di un altro spaghetti western come Tepepa (1969)... rivede in lui, per un attimo, il padre militare suicidatosi davanti ai suoi occhi quando il piccolo Tomas aveva solo 12 anni. Tepepa è importante perché il suo personaggio rivoluzionario Jesus Maria Moran... si doppia finalmente da solo e Milian può sbizzarrirsi con la sua voce. Sul set di The Last Movie (1971) di Dennis Hopper conosce un altro Dennis molto importante che di cognome fa Stock e nella vita ha avuto a che fare intimamente con il mito del cubano: James Dean (in Life di Anton Corbijn si racconta dell'amicizia tra Stock e Dean).

Da Monnezza a Nico Giraldi

Squadra Volante (1974) è il primo poliziesco ma il massimo si raggiunge con Milano Odia: La Polizia Non Può Sparare (1974) e Roma a mano armata (1976), entrambi diretti da Umberto Lenzi e dove (nel secondo film) c'è la prima battutaccia ad effetto, inventata da Milian, in cui si fa una rima sboccata associando "La Pira Galeazzo" alla parola... avete capito. Con Il Trucido E Lo Sbirro (1976), dove il suo personaggio viene ribattezzato dallo stesso attore MonnezzaMilian costruisce tutto: testa, occhi truccati, salopette jeans e scarpe da ginnastica adidas per scappare. È un successo strepitoso che gli permette di mettere mano ai dialoghi e cercare di dare sempre più anima a quel buffo informatore della polizia proveniente dal popolo dotato però di grande rigore etico.
Milian è un uomo tormentato e un attore autore in grado o di entusiasmare i registi o di portarli al più alto livello di irritazione. E se il suo Monnezza volesse diventare uno sbirro alla Serpico (1973), film di Lumet la cui exploitation gli era stata proposta dal produttore Galliano Juso e dal fidato Bruno Corbucci? All'inizio Milian rifiuta (anche se, vedendo la pellicola di Lumet, aveva invidiato Al Pacino) ma poi intuisce una speranza solo nella progressione del personaggio del ladruncolo borgataro dal cuore d'oro Monnezza decidendo pertanto di fonderlo con questo maresciallo della Polizia facendo nascere con Squadra Antiscippo (1976) un altro personaggio iconico molto spesso confuso con l'informatore.
Si chiama Nico Giraldi anche se per gran parte del pubblico... è sempre il Monnezza che però fa il poliziotto.
L'idillio con Juso si interrompe bruscamente sempre per colpa del papà: un giorno il produttore gli chiede di fare una posa per la pubblicità del sesto film della serie Nico Giraldi, Assassinio Sul Tevere (1979), e Milian si rifiuta perché il tono del produttore... gli ricorda improvvisamente quello di suo padre come quella volta con Orson Welles.
Tra eccessi, cocaina, alcool, sesso e deviazioni notturne (ci sono una moglie e un figlio che non mitigano affatto l'indole scatenata), Milian si riavvicina al cinema d'autore con grande emotività per La Luna (1979) di Bernardo Bertolucci e Identificazione Di Una Donna (1982), dove si accorge con grande stupore che il regista Michelangelo Antonioni... è un grande fan dei film del Monnezza + Nico Giraldi. Chi l'avrebbe mai detto!
In questa fase crepuscolare ci sono viaggi in India disintossicanti, voglia di mollare la recitazione e un Nico Giraldi più introverso in Delitto Al Ristorante Cinese (1981). Tornare in America è rinascere come attore dai ruoli più bassi e senza che né Abel Ferrara (Oltre Ogni Rischio), né Tony Scott (Revenge) né Sydney Pollack (Havana) sapessero niente di lui o conoscessero la sua popolarità italiana (Pollack aveva un vago ricordo visto che l'aveva scartato ai tempi de I Tre Giorni Del Condor perché era troppo giovane per il ruolo del sicario poi andato a Max Von Sidow).
È un buon momento di piccoli ruoli, serie tv e un Gary Oldman che gli dice che recitare con lui in Jfk (1991) di Oliver Stone è stato come duettare con Marlon Brando.

Ciao Generale

Ci piace chiudere con il Generale Arturo Salazar di Traffic (2000) dove Soderbergh adora la sua personalità, lo lascia giocare con il suo ormai fidato bastone da passeggio e Milian lo sorprende con mille improvvisazioni e ideuzze per arricchire il personaggio come quando si mette a canticchiare un motivetto rubandolo a un Federico Fellini che lo canticchiava, durante una loro bizzarra gita in macchina, quando Milian aveva provato a prendere il ruolo di Terence Stamp in Toby Dammit di Fellini non convincendo il genio romagnolo (si scoprirà che Fellini non aveva gradito un'intervista del cubano in cui Milian aveva criticato il regista de La Dolce Vita).
Non ce la fece a entrare nell'episodio felliniano del collettivo Tre Passi Nel Delirio (1968) ma quel canticchiare fu recuperato nel suo miglior film dell'ultimo periodo americano ovvero quel Traffic che avrebbe regalato l'Oscar per la Miglior Regia al buon Soderbergh e quello per Miglior Attore Non Protagonista a Benicio Del Toro.
Non ha mai vinto un Oscar il nostro Tomas Milian.
Ma ha vinto negli anni la stima di registi, l'apprezzamento dei critici e l'amore del pubblico.
La sua arte rimarrà nel tempo.
Oggi salutiamo un grande artista del '900.

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