Chiamatemi Francesco, la recensione
Chiamatemi Francesco di Daniele Luchetti racconta la giovinezza argentina di Jorge Mario Bergoglio prima di diventare Papa Francesco I
E' un'operazione produttiva su due fronti da parte della coppia Luchetti-Valsecchi (colui che ha lanciato I Soliti Idioti e Checco Zalone produce con la sua TaoDue). Ora in sala una pellicola da 98' minuti e tra un annetto sugli schermi di Canale 5 una fiction da quattro ore mezza in cui, presumibilmente, rivedremo se non tutti gran parte di questi 98 minuti.
Com'è questa versione cortissima per il grande schermo? Non male anche se col fiato corto nel finale.A prescindere da come la pensiate sull'argomento, Luchetti ha fatto un film che si lascia guardare grazie a un Bergoglio già uomo (non è un biopic classico perché manca l'infanzia) e addirittura fidanzato (anche se non sembra) che incontrerà ben presto la chiamata religiosa, discuterà sempre amabilmente con amici, amiche di gioventù e mentori anche marxisti per poi sbattere il muso contro il regime militare argentino di Videla (1976-1983) proprio quando sta provando a scalare le gerarchie della Chiesa.
Ottimo il look dell'attore Rodrigo De la Serna (stempiato e spiritato al punto giusto) irriconoscibile rispetto a quel simpaticone che guidava la moto con un minuscolo Che Guevara (Gael García Bernal) nel sidecar ne I Diari della Motocicletta (2004) di Walter Salles.Molto bravo veramente il trentanovenne attore argentino quando, insieme a Luchetti, disegna un religioso fisico, dal carattere impetuoso, carismatico ma anche sinceramente in opposizione a un certo tipo di Chiesa tutta pasticcini e lusso (confronto teso e emblematico con un prelato dal ventre vorace).
Bergoglio nel film rispetta e ama la compagnia delle donne (Luchetti qui è anche parecchio furbetto nel simulare una love story), si barcamena con il regime militare cercando di difendere colleghi oppositori senza uscire dal Sistema (ce la farà?) e poi, in una seconda parte troppo breve e tirata via, entra in contrasto con il Dio denaro per una faccenda di riassestamento urbano contro i poveracci che vivono in periferia che ricorda assai l'idea del Waterfront di Suburra.
La domanda che ti puoi porre alla fine è: va bene tutto ma come può un uomo così dialettico, per non dire polemico, all'interno delle gerarchie vaticane invecchiare e portare avanti la sua vita tra galline e maiali (forse proprio per il suo carattere non leccapiedi) per poi, improvvisamente, trovarsi al centro del consenso politico del Vaticano in un finale di ovazioni, elezioni vinte a mani basse e trionfale apparizione al balcone di San Pietro?
Dal punto di vista cinematografico è come farmi un film sul problematico e restio al potere Che Guevara fino a cinque minuti dalla fine per poi trasformarlo in una pellicola sul bravissimo e inesorabile scalatore gerarchico Matteo Renzi.
C'è un certo buco narrativo (il film racconta in flashback la giovinezza di Bergoglio mentre lui è arrivato a Roma per votare per il nuovo Papa dopo le dimissioni di Benedetto XVI) che in un film di 98 minuti lascia piuttosto perplessi e che forse nella versione di 270 minuti del 2016 verrà riempito da qualche spunto di riflessione in più sul perché si scelse nel 2013 come successore di Benedetto XVI un uomo, parole sue, collocato: "quasi alla fine del mondo". Come dire... politicamente assai periferico rispetto a piani e disegni del Cupolone.
Già... come mai?
Da questo film gradevole e scorrevole al punto giusto... non si capisce proprio.
Chiamatelo mistero.