Come due fratelli - Abang e Adik,la recensione
Il più classico dei modi di raccontare la marginalità in una città, viene dirottato da un melodramma che trasforma tutto in Come due fratelli
La recensione di Come due fratelli - Aband e Adik, il film malese che ha vinto il Far East Film Festival ed esce in sala il 30 aprile
Quella di Come due fratelli è un tipo di storia, che per un verso o per l’altro abbiamo visto molto spesso, in oriente come in occidente. È la storia di personaggi che cercano di vivere con difficoltà ai margini di tutto, che provano a schivare la criminalità come via d’uscita e che, nell’intreccio, affidano a un’unica speranza, un unico obiettivo da raggiungere, la possibilità di affrancarsi da una vita misera. Regolarmente gli altri, il caso, i sentimenti o i loro limiti si frappongono e impediscono il raggiungimento della meta. Non è solo il cinema dei Dardenne (che su questo presupposto hanno costruito uno stile e una poetica) ma proprio la maniera in cui il cinema racconta le persone in difficoltà nelle città.Lo stesso la versione di Lay Jin Ong di questo classico è avvincente. Due amici, orfani, che vivono la loro condizione insieme, sono come fratelli, condividono un letto e un destino comune anche se diversamente: uno, sordomuto, cerca di trovare un lavoro, dei documenti ed escogita piani per poter giungere a una situazione decente, sognando addirittura una famiglia; l’altro invece è molto più tentato dal nichilismo e quindi dal crimine. È chiaro che il film li usa per rappresentare due modi diversi di reagire alle diseguaglianze social:, chi protesta e odia la società, scegliendo il crimine (con l’obiettivo quindi di rimanerne fuori ma non da povero), e chi invece ne accetta le regole e lavora per diventarne un membro.
Un intreccio propriamente detto c’è, come c’è una donna che forse può aiutarli e dei documenti da conquistare, ma è solo un modo per entrare bene in contatto con loro, perché Come due fratelli il suo cuore lo esprime nel finale, quando tutto sembra precipitare e i due si trovano divisi. A quel punto ciò che la storia ha impostato (e bene, con una narrazione molto fluida e grandi interpretazioni, specialmente Jack Tan), esplode in una serie di confronti che tirano le fila di tutto quel che abbiamo visto. La cosa curiosa è che questo avviene a parole, e con segni (visto che uno dei due è sordomuto) ma lo stesso, anche se spiegato e addirittura scritto nei sottotitoli della lingua dei segni, ha una potenza eccezionale.È il melodramma che entra prepotente e dirotta tutto il film, l’esposizione grossolana dei loro tormenti interiori diventa l’unica cosa che conta ma lo diventa con una tale partecipazione, una così reale e così piena di senso d’ingiustizia, da cambiare il film e addirittura cambiare anche le altre persone intorno ai protagonisti, suscitando umanità e comprensione come fino a quel punto non si erano viste. Il film è stesso è quindi una preparazione a quest’ultima parte. E non è nemmeno una novità, ma una cosa che il cinema sa fare: prima coinvolgere e poi usare la conoscenza che lo spettatore ha maturato del mondo creato e dei personaggi scritti per mettere sul tavolo i sentimenti. E a quel punto, se il lavoro è fatto bene come in Come due fratelli, non importa più se sia banale o originale, è tutto semplicemente vero o almeno percepito come vero. Che poi è l'unica cosa che conti.