La regina dei castelli di carta - La recensione

Terza e ultima parte della trilogia di Millennium, in cui i protagonisti Lisbeth Salander e Mikael Blomkvist fanno luce su un incredibile complotto. Conclusione all'altezza della trilogia cinematografica, quindi mediocre...

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Recensione a cura di ColinMckenzie

Titolo La regina dei castelli di carta
RegiaDaniel Alfredson
Cast
Michael Nyqvist, Noomi Rapace, Lena Endre, Annika Hallin, Jacob Ericksson, Sofia Ledarp, Anders Ahlbom 
uscita28 maggio 2010 

Lo ammetto, la tanto celebrata trilogia di Millennium non mi esalta per niente. Se per la saga letteraria devo limitare il giudizio al primo libro (non esaltante e che non mi ha fatto venire voglia di proseguire con gli altri due), per quella cinematografica non ho proprio dubbi: nulla di che. Intendiamoci, non si tratta di prodotti orrendi, ma sono dei lavori che andrebbero benissimo per una discreta serata televisiva in una televisione generalista.

E il fatto che i maggiori consensi arrivino dagli Stati Uniti mi rende molto perplesso. Mi spiego. Facciamo finta che in una pellicola americana, tanto per fare un esempio, degli importanti testimoni che si trovano in ospedale e che rischiano la vita non vengano sorvegliati giorno e notte da poliziotti armati. O magari (visto che le forze dell'ordine risultano delle macchiette) degli agenti non sappiano reagire di fronte a un cattivo invincibile che farebbe discutere anche nei fumetti più improbabili per il suo 'superpotere', che peraltro riesce a stare per settimane libero nonostante tutta la polizia lo cerchi (ma ovviamente, senza andare nel luogo più ovvio dove si trova).

Ancora. Cosa succederebbe se una trilogia a livello psicologico/narrativo si basasse sul peggiore stereotipo dei film di questo genere (copyright: Robert McKee), ma soprattutto mantenesse il segreto per tre film su una cosa che invece avevamo già capito tutti dopo cinque minuti? O una scena incredibile in un ristorante che sembra girata come una pellicola di serie Z, per come regista e interpreti coinvolti ci credono pochissimo?

Senza dilungarci eccessivamente, la soluzione è semplicissima: parleremmo di americanata. Ma visto che il tutto viene fatto in Svezia, che si parla di Unione Sovietica, spie, pedofilia, abusi sulle donne, prostituzione e tante altre cose serissime (e purtroppo verissime), ecco che il film diventa improvvisamente un prodotto da apprezzare quasi per partito preso, magari fingendo di dimenticare questi e tanti altri elementi negativi.

Per esempio, come è possibile che i redattori di una rivista che pubblica materiale scottante poi si spaventino per delle mail anonime, soprattutto dopo che un loro collaboratore è stato ucciso nel secondo episodio? E se potrebbe essere interessante nobilitare le indagini giornalistiche ora che la stampa su carta è in coma, la superficialità con cui viene trattata anche questa materia non entusiasma per nulla.

In un certo senso, questo terzo capitolo sembra racchiudere in sé i difetti dei precedenti due: la lunghezza eccessiva (il primo) e la mancanza di una trama avvincente e imprevedibile (il secondo). Per esempio, non aiuta l'esposizione goffa degli eventi precedenti, che rende ancora più lento il ritmo, così come la forzata degenza di Lisbeth in ospedale. E le sequenze oniriche 'rivelatorie' preferiamo far finta di non averle viste.

A questo punto, tra un assalto eccessivo della polizia a un edificio (neanche ci fossero un gruppo di mafiosi armati fino ai denti) e un finale da horror poco convincente, l'unica cosa da salvare è ovviamente Noomi Rapace. Che, senza fare miracoli (no, non penso proprio che avrà una carriera straordinaria, ma potrei sbagliarmi), riesce a trasmettere discretamente la complessità del suo personaggio, soprattutto nelle scene in tribunale.

Tutto questo, ovviamente, non basta per salvare un prodotto che non arriva proprio alla sufficienza. La speranza è che, con lo stesso materiale, David Fincher faccia ben altro lavoro...

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