Un Re Allo Sbando, la recensione
Poteva essere un buon esempio di commedia paneuropea Un Re Allo Sbando, invece si perde quasi subito e spreca un ottimo spunto narrativo
Un Re Allo Sbando prende subito la strada del grottesco e dell’assurdo, parte da uno spunto di fantapolitica concreto, ma lo abbandona immediatamente quando, come prima soluzione per uscire dalla Turchia, il re del Belgio assieme al suo valletto, l’ufficio stampa e l’attendente si travestono da cantanti folk balcane per passare inosservati. Non c’è nessun lento passaggio, da massimo del formale il re diventa macchietta immediatamente e manterrà questo tono per tutto il film. Il viaggio attraverso i balcani segnerà la storia dello scioglimento di un animo ingessato e troppo lontano dalle questioni della vita per poter essere davvero il regnante che desidera, ma Peter Brosens e Jessica Woodworth sembrano non essere interessati alla plausibilità di questo racconto di fantasia.
Ciò che impedisce a Un Re Allo Sbando di decollare è sempre l’impressione di essere più vicini all’animazione (ma senza il suo ritmo indiavolato) che alla commedia, il totale disinteresse per la coerenza dei personaggi, presentati come giustamente ingessati dal protocollo e poi pronti a dimenticare tutto troppo in fretta. Anche l’idea di scegliere un formato da found footage, usando solo ciò che in teoria il documentarista sta girando è usato al minimo delle potenzialità, mancando di continuo il punto e l’umorismo delle situazioni che mette in piedi. Sorvolando sugli assurdi turchi che inseguono il re come se dessero la caccia ad un criminale, l’esigenza di mettere in moto un gruppetto disperato e braccato passa sopra qualsiasi costruzione raffinata e rende il film una sequenza di gag slegate, a tratti nemmeno sufficientemente divertenti.