Ritmo lento in fondo al mare, la recensione

Ritmo lento in fondo al mare è l'ultima proposta editoriale di Hyppostyle, una graphic novel ispirata da una canzone di Vinicio Capossela...

Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.


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Ritmo lento in fondo al mare, presentata alla scorsa Lucca Comics & Games, è l'ultima proposta editoriale di Hyppostyle, una giovane realtà nata solo cinque anni or sono. Nel realizzarla, Valerio Pastore e Isabella Capozzi, hanno preso spunto da un musicista straordinario e singolare come Vinicio Capossela; nello specifico, dal pezzo Canzone a manovella, presente nel quasi omonimo album del 2000 Canzoni a manovella.

La sonata, un impasto di atmosfere e armoniche antiche e nuove, è un gioco, un esperimento, un saggio di parole, rime e assonanze che raccontano con la consueta malinconia sorniona del geniale compositore di origine irpine un viaggio fantastico per mare, un serenata d'amore che diventa una favola, intreccio di mille altre.

Provate a scorrere le pagine del brossurato ascoltando la performance preziosa del cantautore e della sua band. È il modo migliore per apprezzare e valutare questo fumetto. Di contro, se decontestualizzato dalla sua fonte ispiratrice, la suggestione delle tavole di Pastore viene meno e fatica su una sceneggiatura composta di vignette ficcanti ma troppo svincolate da regole sequenziali.

Il suo segno è talentuoso, creativo, ma si schiaccia su monocordi alternanze di bianco e nero che non si sposano con una acrobata dalle infinite sfumature qual è Capossela. Funambolo e trasformista del linguaggio, collide anche con i testi della Capozzi, che seppur curati e colti, suonano lontani e solenni.

Il soggetto è tuttavia originale come la personalizzazione data al contenuto di Canzone a manovella. La storia, in tre atti, dopo un primo capitolo qualunque, che può sembrare al lettore l'ennesima rivisitazione del capolavoro di Herman Melville, Moby Dick, si risolleva nel secondo con il sogno d'amore per la sirena e si riscatta nel finale, poetico e terrificante.

Il volume manca di un'introduzione e di un solido apparato redazionale che introduca adeguatamente l'ambizioso e complesso progetto, la rielaborazione per la Non Arte del lavoro di un interprete che è e rimane di nicchia, per non dire sconosciuto al grande pubblico fruitore di musica. Il rischio è che la graphic novel scivoli ancora più verso una dimensione esclusiva ed ermetica.

Ulteriore accorgimento, indice di un inevitabile e necessario pragmatismo, sarebbe infine l'attenzione per un prezzo più abbordabile su un mercato sempre maggiormente attento alle tasche di tutti.

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